[AUTOGESTITA] Segreti

Scaar (Ryuk*) , Rain (Gh0st)

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    Per quanto aspiri ad essere creatura di luce, l'uomo fa presto ad abituarsi alle tenebre. Esse penetrano nelle fessure imperfette del suo animo, come liquido nero e denso, pece e catrame, affogandone l'umanità e liberandone gli ignobili istinti, spasmi selvaggi che annaspano sotto la superficie lottando per l'ossigeno, lottando per la sopravvivenza.

    Facile fregiarsi di ideali di giustizia e onore quando si vive al calore del sole, quando si possiede il lusso di agiarsi su fortune non meritate, su vite perfette figlie di una società perfetta, ma corrotta. Cosa rimarrebbero di tali valori una volta spogliati delle agiatezze, dei privilegi e dei perbenismi, costretti al freddo e alla fame di un mondo ostile, condannati a lottare per ogni singolo stentato minuto di vita?

    La risposta a simili domande era una e una soltanto a Kalendor: Haven.





    Senti la testa dell'omero del braccio sinistro che lentamente scivolava via dalla scapola in quella tensione continua. I muscoli non riuscivano più a tendersi per tenere sollevato il corpo e adesso tutto il proprio peso ricadeva sulle spalle, appeso com'era a mezz'aria per i polsi, costretti da due ceppi di metallo nero. Nel buio di quella cella non riusciva a distinguere l'alternarsi del giorno e della notte, per cui gli era impossibile stabilire da quanto tempo era appeso in tal modo.

    I ceppi erano collegati ad una catena appesa al centro del soffitto tenendolo sospeso su di un fossato profondo 10 metri. Le mura della cella erano lontane da lui altri 10 metri, questo per impedirgli qualsiasi appiglio con i propri tentacoli neri. Avevano provato a torturarlo, mutilarlo e quant'altro, ma ogni tortura sembrava fargli il solletico. Il suo corpo era già orribilmente ricucito in più parti, era come se fosse impossibile far peggio di quanto lui non si fosse già procurato in passato.

    Ora provavano con la fame e la sete. Non toccava cibo ne acqua da quando lo avevano rinchiuso lì dentro. Il suo aspetto era riuscito a peggiorare, assomigliandolo più ad uno scheletro rivestito di pelle morta più che ad un essere umano in vita.



    Il clangore della pesante sbarra rimossa dalla porta in metallo massiccio lo ridestò dall'ormai costante stato di dormiveglia: come si poteva ben immaginare, essere costantemente appeso per i polsi gli provocava un costante e lancinante dolore che non gli permetteva di chiudere occhio da giorni, questo assieme allo stato terribile di malnutrizione lo avevano reso uno zombie allucinato.

    La porta si aprì innodando la stanza di una luce soffusa ma bianchissima che dopo tutto quel tempo nella più completa oscurità era quasi accecante. Contro le mura della cella eccheggiarono dei passi mentre la silhoutte nera di una figura umana si frappose tra il candore dell'uscio e la cancellata di sbarre che delimitavano frontalmente la cella.

    Scaar sollevò lievemente il capo solitamente tenuto completamente riverso in avanti, giusto per permettere alle iridi di scorgere la figura appena entrata. Controluce non riuscì a distinguere alcun dettaglio, solo la nera sagoma che a braccia conserte doveva stare fissandolo. Faticava a tenere gli occhi aperti, la luce continuava a dargli fastidio, tuttavia quello era il primo diversivo dopo giorni e giorni di nulla totale, solo con i propri pensieri e il proprio dolore. Quella novità sembrava interrompere per il momento una lenta agonia che lo avrebbe portato gradualmente alla morte, ma che nel suo caso forse si sarebbe prolungata ad oltranza senza mai porre un vero epilogo a quella miseria.

    Devo farti i miei complimenti. Nonostante tutto quello che ti hanno fatto passare, sei riuscito a tenere la bocca chiusa. Cominciò a dire una voce femminile che agli orecchi di Scaar suonò immediatamente familiare.

    Non... Biascicò con la bocca terribilmente arsa il prigioniero, non riusciva nemmeno a deglutire tale era la sua disidratazione. Non è che voi mi abbiate lasciato scelta...

    La donna emise un suono compiaciuto, per poi riprendere a parlare nella penombra. Peccato però. Sei stato una pedina utilissima nella nostra piccola caccia alle streghe. E' stata una pessima idea venire fin qui, ad Haven. Cosa credevi, che rifugiandoti in questo covo di lestofanti saresti riuscito a sfuggire al controllo dell'Impero? Credevo di essere stata chiara quel giorno a Sumadea, o lavori per noi o muori con loro. Evidentemente, hai fatto la tua scelta...

    Kwehheehehehehehehhe... Sghignazzò roco Scaar per poi esplodere in una serie di violenti colpi di tosse che ne scossero l'intero corpo. I ceppi premettero contro le ferite ormai profonde sui polsi a quei movimenti e il prigioniero contrasse i muscoli per via della nuova ondata di dolore, stringendo i denti e grugnendo disperatamente dal dolore.

    Mi fa piacere che il senso dell'umorismo non ti abbia abbandonato. Ne avrai bisogno, quelli come te potrebbe sopravvivere anni in queste condizioni prima di soccombere. Disse senza particolare emozione nè la minima traccia di compassione. Quella voce fredda e distaccata era quanto di più disumano Scaar avesse sentito nella propria vita.

    Oh si, il senso dell'umorismo lo conserverò gelosamente... Sibilò Scaar una volta riuscito a vincere il dolore lancinante. Mi servirà quando riderò a squarciagola, mentre ti strapperò quella lingua biforcuta dalla gola e...


    Senso dell'umorismo? Chiese l'uomo di fronte alle sbarre con espressione stranita.

    Credo stia delirando signore. Probabilmente sono allucinazioni per via dell'insonnia e della disidratazione. Disse l'altro che rimaneva due passi più indietro.

    Maledizione. In questo stato non ci è di nessun aiuto. Forse dovremmo riprendere con la tortura tradizionale.

    Signore... io lo sconsiglierei. Si è dimostrato resistente alle forme di dolore più orribili, i nostri torturatori si sono rifiutati di indugiare oltre su quel... corpo. Credo proprio che dovremo disfarcene, a questo punto.

    L'uomo di fronte alle sbarre quindi tacque mentre osservava il prigioniero appeso per i polsi sussurrare e biascicare tra sè parole quasi incomprensibili, quindi diede l'ordine di chiudere la porta mentre usciva dalla cella e si lasciava alle spalle quello spettacolo raccapricciante.

    Il buio calò di nuovo nel suo mondo, ristretto ora a quattro mura e una catena.

    Mentre ritornava in quello stato di dormiveglia, un nome veniva continuamente sussurrato con l'ultimo filo di voce. Il nome di una donna.

    Hataris...

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    La cosa che più di tutti lo stupiva di Haven è che, ogni tanto, c'era anche il sole.
    Senza sapere il perché, dalle immagini e dai racconti, Rain si era sempre immaginato che ad Haven per qualche ragione fosse sempre notte. Non sera, ora di cena in cui tutti sono riuniti intorno al focolare, ma proprio notte fonda, quella fredda, pericolosa.
    Invece, ogni giorno, il sole spuntava sulla strana città portuale e puntualmente scompariva all'orizzonte nel tardo pomeriggio proprio come faceva in qualsiasi altra parte del mondo.
    Strano, pensava il ragazzo, quasi ingiusto.
    Haven era una fogna a cielo aperto. Tutto gli faceva schifo di quel posto. Le strade, sudicie e strette, si diramavano all'infinito per il centro abitato tutto uguale e basso. Gente di ogni tipo passava, andando chissà dove e tramando chissà cosa e Rain si trovò ben presto con uno strano sentimento di odio verso tutti i veccchi shinobi ormai dimenticati dal mondo.
    Lui, invece di starsene con le mani in mano e commettere crimini o missioni idiote, si era dato da fare. Nella bella Ephiora si era reinventato con umiltà e onesta, mai aveva commesso una cattiva azione e aveva imparato molto. Ora era a caccia della Verità, quella grossa e che fa paura, e per puro caso era finito in questo posto dimenticato da tutti.
    La sua presenza lì, insieme a una distratta Helen, aveva subito attirato l'attenzione. Nella prima settimana Rain fu coinvolto in due risse in cui venne messo in mezzo assolutamente senza motivo. Nella prima se l'era cavata tirando una sedia in bocca all'aggressore e ribaltando un tavolo con cui parare un coltello lanciato nella sua direzione, nella seconda invece era stato costretto a usare le mani e la cosa, vista la sua abilità con le ossa, aveva iniziato a far scalpore.
    Dopo dieci giorni bussò alla porta dell'albergo in cui Rain ed Helen alloggiavano uno strano tizio che offrì allo spadaccino un lavoro in una famosa gilda locale: l'offerta, come le altre che ricevette il ragazzo durante la sua permanenza lì, vennero tutte declinate.
    Per il resto, le giornate ad Haven erano monotone e strane.
    Rain riuscì pian piano a conoscere quel tipo di persone che contava di incontrare in quel luogo e in breve tempo un piccolo gruppo di uomini si riunì intorno a lui. Erano individui eterogenei, strani, con un passato oscuro, ma tutti condividevano con Rain un piano e un ideale.
    Ideale, comunque, che ora più che mai sembrava essersi smarrito in qualche piega del tempo.
    La tranquillità di Ephiora mancava, ma la passività con cui aveva vissuto gli ultimi anni della sua vita non era rimpianta. Ora, in qualche modo, stava dandosi da fare per qualcosa di grande e di importante che da ormai molti mesi non lo faceva dormire la notte.
    Ambientarsi ad Haven sarebbe stato impossibile, specialmente per un ragazzo amante del silenzio e della tranquillità come lui; in ogni caso, comunque, non aveva molta scelta sul luogo in cui iniziare a darsi da fare.
    Mi piacerebbe continuare a girare il mondo, appena tutto sarà finito intendo...
    Gli confessò Helen quasi subito, stanca e per nulla entusiasta della nuova sistemazione. Rain era dispiaciuto per l'umore della ragazza, ma ora non poteva permettersi di agire diversamente.
    Andremo dove vorrai, te lo prometto. Non adesso però. Il mondo rimarrà sempre ad aspettarci.
    Le aveva risposto. Quell'ultima frase pronunciata lo scosse un attimo. Tutto era cambiato nelle ultime settimane, eppure i fantasmi del passato sembravano essere, ironicamente, sempre dietro l'angolo.
     
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    Tutto sommato Haven aveva anche le sue bellezze. Sebbene non fosse proprio una terra rigogliosa dai colori sgargianti come lo potevano essere Ephiora o Arcadia, le brulle scogliere che per decine di metri si ergevano sopra i muggiti delle onde spumose che incessantemente si schiantavano sulle rocce più basse avevano quel non so che di maestoso. Mettendo da parte lo squallore e la criminalità delle città e prendendo solo in considerazione la natura comunque pittoresca di quella regione, ci si poteva anche concedere qualche giornata di contemplazione di isole che, al di là della pessima fama e tutto il resto, sono comunque per la maggior parte incontaminate e disabitate. Dominio imperturbato di madre natura.

    E se Tortuga poteva assomigliare più ad un pericoloso covo di ratti e serpi, Yorke situata sull'omonima isola minore era più sopportabile, avendo persino dei quartieri residenziali dove gli elementi più influenti o abbienti di Haven potevano far crescere le proprie famiglie senza temere in continuazione ritorsioni collaterali causate dai propri affari. Un servizio di "vigilanza" finanziate dai pezzi grossi scoraggiava gli sciacalli e squilibrati dal frequentare tali zone e nel complesso, anche dal punto di vista organizzativo, la cittadella funzionava abbastanza bene.

    C'erano persino locande "per bene" dove potersi concedere bevute distensive senza rischiare ogni volta di finire invischiati in qualche regolamento di conti o rissa tra ubriachi. Le più importanti erano appunto gestite da qualche pezzo grosso che su Yorke faceva valere la propria influenza grazie ai propri affari invece della violenza e per questo motivo molti degli elementi più pericolosi se ne stavano buoni buoni a Tortuga, piuttosto che rischiare la pellaccia a Yorke: esisteva una lista nera aggiornata di tutte le brutte facce arrivate ad Haven senza preoccuparsi troppo di nascondere la propria identità. Nessuno di loro sarebbe riuscito a mettere piede a Yorke senza ritrovarsi immediatamente due o tre scagnozzi a monitorarne i movimenti.

    Quando si trattava di stranieri incensurati comunque si andava più sul cauto, senza dare eccessivamente nell'occhio. I movimenti venivano constantemente monitorati, così come tutte le operazioni sospette, questo fino a quando non si avrebbero avuto informazioni sufficienti sul suo conto. A volte, si trattava di pesci abbastanza piccoli da sfuggire via dalla loro rete, altre volte non veniva lasciata altra scelta se non quella di finire invischiati negli intrighi di potere di coloro che comandavano Haven.

    Era quello che stava per succedere a Rain, che passeggiava attraverso una delle vie vicine al porto di Yorke. Che andasse in giro da solo o accompagnato dai suoi nuovi "tirapiedi", non importava al tizio seduto su di una scalinata ai lati della strada. Era una via di transito non molto alta, un vicolo attraversato spesso da chi provenendo dal porto ritornava nei quartieri. Non che fosse particolarmente frequentato, ogni tanto una o due persone lo attraversava di fretta senza soffermarsi su nulla nè prestando attenzione alle poche porticine e finestre di appartamenti umili di gente comune.

    L'uomo giocherellava con un paio di monetine d'oro, apparentemente pensando ai fatti suoi. Avrebbe aspettato che Rain lo superasse, senza mai guardare nella sua direzione facendo intendere di essere un inquilino che prendeva distrattamente una boccata d'aria fuori l'uscio della propria casa. Quindi, una volta che Rain lo avesse superato di quattro cinque passi, esordì con voce chiara e diretta.

    Rain, del clan Kaguya...

    Il tizio sollevò la testa convinto che Rain si sarebbe per forza di cose voltato a sentire quel nome. L'espressione sul volto del biondo era serena e sorridente, non v'era traccia di intenzioni ostili.

    Ora che ti guardo da vicino, non assomigli affatto a Dihadori come mi avevano detto...


    Commentò non perdendo il sorriso, abbassando di nuovo il volto per riprendere a giocare con le proprie monetine.

    Come faccio a sapere queste cose? Bella domanda...
    Continuò a dire lo sconosciuto senza preoccuparsi di nascondere una punta di compiacimento e senza aspettare una vera e propria domanda da parte di Rain.

    Se non vado errato è la tua prima volta qui ad Haven, vero Rain? Inizialmente è stato difficile risalire alla tua vera identità. Molti ti avevano dato per morto molti anni fa... comunque non è stato difficile fare due più due una volta data un'occhiata ravvicinata a te e alla tua fidanzata.

    L'uomo cercò un contatto visivo con Rain, evidentemente incuriosito. Non era sicuro di che reazione aspettarsi, forse era proprio quello il punto di quell'incontro e di quella conversazione.


    Edited by Ryuk* - 9/1/2018, 15:29
     
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    Le poche informazioni che Rain aveva accumulato nel corso della sua permanenza ad Haven erano assolutamente sconvolgenti.
    Quel poco che immaginava di sapere sull'Impero e sulla sua indagine era del tutto falso. Ci sarebbero voluti mesi, forse anni per riuscire a fare quello che il ragazzo aveva in mente.
    I vari indizi portavano a Neagora, terra in cui non aveva messo piede ormai da tempo immemore e che pareva essere culla di ogni possibile artificio meccanico e magico. Una terra incantata e prodigiosa: tutto il contrario di Haven.
    Un po' scoraggiato da questo e da mille altri dubbi che lo tartassavano, Rain stette alcune settimane come in balia del destino: vagava come un fantasma tra le strade fetide di Tortuga in cerca di un barlume che desse di nuovo vita ai suoi folli progetti.
    Mandò e pagò, non appena possibile, alcuni dei suoi collaboratori in missione. Erano quasi tutti ex shinobi pre-imperiali, ma oltre questo Rain sapeva ben poco di loro. A rigor di logica dovevano essere discreti combattenti, ma ancora nessuno di essi aveva conquistato la fiducia dello spadaccino.
    Non potendo però andare da solo in territorio imperiale. Rain fu costretto ugualmente a dare loro quell'incarico importantissimo.
    Il gruppo di guerrieri era partito cinque giorni prima in per Neagora sfruttando un losco e misterioso contatto conosciuto in una locanda a Tortuga.
    Con documenti e credenziali false, i tre avventurieri avrebbero dovuto rimanere a Neagora fino ad avere un quadro completo della situazione, per poi tornare ad Haven in qualche modo entro il mese successivo.
    Questa missione misteriosa e folle impensierì non poco Rain, il quale oltre a non fidarsi delle capacità dei suoi nuovi collaboratori, non si fidava nemmeno più delle proprie. Tutta quella faccenda sembrava un'epocale perdita di tempo e sanità mentale e costantemente aveva nostalgia dei piatti e apatici anni passati ad Ephiora nel completo anonimato.
    Così pensava mentre passeggiava a Yorke per andare a parlare con un altro dei suoi contatti per stabilire il da farsi al rientro del gruppo mandato in missione.
    Le parole che l'uomo pronunciò infastidirono moltissimo il ragazzo, più che impensierirlo. Che più di qualcuno ad Haven sapesse della sua esistenza ormai era cosa certa: forse ormai anche gli Imperiali che avevano appena catturato i suoi collaboratori sapevano di lui. Rain era già nervoso per conto suo e lo show che il tizio fece appena lo vide passare non aiutò a rischiarare l'atmosfera.
    Helen si fermò istintivamente e questo costrinse anche lui a fermarsi dopo qualche metro. Pensò a una risposta da dare, poi pensò brevemente a cosa avrebbe voluto sentirsi dire quel tizio.
    Non aveva fatto nessuna domanda e questo era piuttosto assurdo. Perché diavolo lo aveva scocciato?
    Complimenti.
    Disse a caso Rain guardando lo strano ceffo. L'ultima frase che l'uomo pronunciò provocò poi un'apoteosi di fastidio in Rain. Sembrava volersi vantare di aver scoperto la sua identità anche se non c'era assolutamente nulla di straordinario in questo.
    Un'arcadiana senza nome né passato era riuscita a trovarlo in mezzo ad Ephiora mentre tutto il mondo lo dava per morto: risalire a lui mentre cercava informazioni nel posto più losco del mondo non era affatto speciale.
    Si vede che sei uno tosto.
    Aggiunse infine ironicamente e senza alcun tipo di entusiasmo.
    Rain avrebbe poi preso per un braccio Helen e avrebbe ricominciato a camminare trascinando la ragazza, decisamente più incuriosita del compagno, nelle più borghesi strade della città.


    Edited by Gh0st - 10/1/2018, 19:36
     
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    Il biondo gli lasciò qualche secondo per allontanarsi, più per valutare il suo comportamento che per cercare qualcos'altro da dire. Lo avevano messo in guardia circa quel Rain. Un uomo capace di far fuori un plotone di cento uomini da solo. Fin da subito gli era sembrata una leggenda ridicola, non erano rari i casi in cui si faceva leva su dicerie e false storie come deterrente bellico, storie molto spesso senza un minimo fondo di verità. Come quella volta in cui un gruppo di terroristi da strapazzo si era inventato la storia del drago a difesa del loro covo. Era bastato qualche chilo di tritolo per svelare il loro bluff, senza bisogno di sporcarsi le mani.

    Questa volta però era stato il proprio mandante a parlargli in tal modo di questo ragazzo che a prima vista non aveva nulla di speciale. L'uomo che gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva credeva ad una simile fandonia. Il lato pratico della propria personalità lo spingeva a sottovalutare quel tizio e a passare ai ricatti, tuttavia non era arrivato dov'era facendosi guidare solo dal proprio istinto. Persone del genere duravano sempre poco, ad Haven.

    Ad Ame una volta ti servisti di un gruppo di mukenin per liberarti di alcune fazioni anarchiche. Disse di sbotto prima che Rain ed Helen si allontanassero troppo. Luna rossa... ti ricorda qualcosa?

    Si voltò per guardare il ragazzo, confidando che quella informazione sarebbe stata sufficiente a catturare la sua attenzione. In fondo, era stato mandato lì come semplice messaggero questa volta. Non spettava a lui giudicare se quel Rain fosse all'altezza del nome che portava, sebbene la propria deformazione professionale lo spingesse a farlo.
     
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    Ma lo conosci questo? Non mi piace per niente.
    Bisbigliò Helen a Rain mentre questo immediatamente le fece un cenno per non aggiungere altro. Helen sbuffò e il ragazzo capì che avrebbe dovuto pagare in seguito la leggerezza con cui aveva osato azzittirla.
    Povero lui.
    Luna rossa?
    Borbottò Rain, fermandosi e girandosi nuovamente verso il tipo.
    Il suo cervello impiegò alcuni istanti per ricollegare i vari ricordi, ormai sparsi e indipendenti, fino a fargli ricordare di cosa si trattasse.
    Dihadori, andando ad Ame, aveva cercato di rendere la nazione un posto decente e quantomeno sicuro. Dopo la sua morte, Rain si trovò imbrigliato in un numero indefinito di operazioni e riforme di cui lui stesso ignorava il significato.
    In particolare, constatò poi con amarezza, Dihadori sembrava essersi affidato a gruppi di criminali per sgominare altri gruppi di criminali.
    La cosa perplesse non poco il ragazzo, il quale si trovò costretto dalle circostanze a prendere una decisione in merito. Lavarsi con acqua sporca gli sembrava un'idea veramente imbecille, ma secondo il suo ormai defunto maestro tra due mali occorreva scegliere quello minore.
    Per questo Luna Rossa, aggressivo gruppo di criminali che aveva base nei sobborghi della capitale, era stata assoldata per far fuori altri criminali. L'oggetto della persecuzione erano, più che altri gruppi di delinquenti, violenti movimenti politici che miravano nuovamente a cambiare il capo di stato.
    Luna Rossa riuscì nello sporco e ingrato compito di uccidere o far arrestare i capi di ogni movimento politico contrario, ma poi il destino di quei delinquenti sfuggì a Rain.
    Qualsiasi fosse stato l'accordo preso con Dihadori, non aveva mai più sentito parlare di loro. Che il capo di Ame avesse garantito per loro l'immunità? Oppure che avesse concesso loro una fuga da Ame o, ancor più scioccamente, un ruolo legale e onesto?
    Questo Rain, ormai divorato da mille altri pensieri, proprio non riuscì a ricordarselo.
    Avanzi di galera scelti da Dihadori per far fuori qualche oppositore politico, mi ricordo di voi.
    Il ragazzo era infastidito, cosa comunque strana visto il suo carattere spesso neutrale e mite.
    Il modo in cui il misterioso uomo si era fatto avanti e la scoperta della sua fazione originale lo avevano innervosito non poco. Rain decise di vedere cosa diavolo volessero da lui quelli della Luna Rossa. La decisione era in realtà un po' forzata e non trovò alcuna altra cosa migliore da fare.
    Conoscevano il suo nome, il suo cognome, dove si era nascosto e anche dove stava Helen. Non aveva paura di eventuali attacchi o ripercussioni, ma si chiedeva tutta quell'indagine a cosa fosse servita. Forse avevano bisogno di lui, o forse lui aveva bisogno di loro.
    In ogni caso, prese la parola.
    Senti, tralasciando il tuo un po' ridicolo esordio immagino tu voglia dirmi qualcosa.
    Cercò di essere il più distaccato e calmo possibile.
    Però, vedi, il tempo di Ame è passato e io ho altre cose a cui pensare. Quindi per favore: sii veloce e chiaro.
    Il discorso fu interrotto da un vociare indistinto in un vicolo lì vicino. C'era vita intorno a loro e c'era gente: questo voleva dire che, almeno in teoria, non si trattava di un agguato.
    Rain, ad ogni modo, teneva gli occhi aperti e le braccia pronte.
    Con una mano andò a cercare il fianco di Helen e la strinse un pochino a sé. La ragazza lasciò fare, anche se tutta la situazione la metteva alquanto a disagio.
    Allora?
     
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    Scontroso e sicuro di sè, ma sembrava finalmente interessato all'argomento. Le provocazioni iniziali erano servite a capire quanto Rain tenesse alla segretezza della propria identità e quanto stava già facendo per passare inosservato. Evidentemente non si preoccupava molto della gentaglia ad Haven, possibili ritorsioni o spie dell'Impero il che risultò strano al biondo sconosciuto. In fondo, era riuscito a far credere al mondo di essere morto per diversi anni, un minimo di prudenza se la sarebbe aspettata.

    Forse ora che era ad Haven si credeva intoccabile. Se era di questo che si trattava, allora aveva già perso diversi punti ai suoi occhi. Ogni singolo viscido abitante di Haven poteva essere qualsiasi cosa: un morto di fame capace di uccidere per pochi spiccioli, uno squilibrato senza la minima morale o persino una lurida doppiogiochista spia dell'Impero. Un uomo col nome di Rain Kaguya non poteva permettersi il lusso di farsi riconoscere dal primo sconosciuto e lasciarlo andare via come se niente fosse.

    Quindi, ricapitolando, per il momento quel Rain non gli aveva fatto chissà quale impressione, ma il rompicapo era ben lontano da essere risolto e come già abbiamo detto, a lui non spettava il compito di valutarlo. Shiken, il capo di Luna Rossa, mi manda a trasmetterti il suo invito. E' convinto che una collaborazione tra voi possa giovare ad entrambi. Egli controlla buona parte dei Forsaken che si nascondono qui ad Haven. Dato che fai parte della categoria, potresti trovare interessante ciò che ha da dire.

    E niente, il messaggio lo aveva recapitato chiaro e tondo al destinatario. Sebbene essersi dovuto abbassare a semplice fattorino gli stava grandemente sul cazzo, quelli erano stati gli ordini. E lui era il tipo che un compito lo portava sempre a termine, qualunque esso sia. Era solo grazie a questo e alla sua tenacia che era riuscito a diventare il braccio destro di una delle organizzazioni più pericolose di Haven.
     
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    Ce l'aveva fatta a parlare chiaro, finalmente.
    Avrebbe potuto esordire con quella frase appena incontrato Rain, quel tizio, invece di doversi inventare quell'imbarazzante siparietto iniziale. Quel tono da finto duro, poi, era veramente fastidioso.
    Shiken. Quel nome non gli diceva quasi nulla ma Rain volle comunque andarci piano. C'erano un milione di possibili ragioni per cui un gruppo di criminali avrebbe voluto mettersi in contatto con lui, dopotutto. L'unica cosa da fare era, appunto, capire quale fosse la proposta.
    Se vuole, può venire a parlarmi di persona.
    L'unica cosa certa era che non aveva alcuna intenzione di farsi portare in un covo pieno di guerrieri sconosciuti nascosto chissà dove. Forse il capo di Luna Rossa, magari in cerca in vendetta verso Rain per qualche ragione che a lui sfuggiva, voleva tendergli una trappola.
    L'ipotesi gli parve remota, ma era meglio non correre nessun rischio.
    Incontrare poi di persona e in una zona neutrale quel tipo gli avrebbe fatto inoltre capire molto di più la gravità della situazione.
    Ho degli affari da sbrigare ora. Possiamo incontrarci domani sera al Torvo Beone verso mezzanotte. Sarò lì ad un qualche tavolo.
    Propose poi. La locanda era in una zona relativamente tranquilla e conosceva più di un frequentatore abituale del posto che, in caso di necessità, avrebbe potuto avvertirlo riguardo qualche situazione sospetta.
    Rain non attese la risposta, poi si girò.
    Se non è disposto a muoversi, allora temo che non ci sarà occasione di incontrarci.
    Si allontanò, in maniera lievemente scenica, da quello strano vicolo.
    Cosa pensi vogliano?
    Disse Helen qualche metro dopo.
    Rain strinse le spalle e abbozzò un sorriso per cercare di alleggerire l'atmosfera.
    Potrebbero volere qualsiasi cosa, non lo so. Meglio che tu non venga, comunque, non si sa mai.
    Chi ti ha detto che ci sarei voluta essere?
    Nessuno.
    Si affrettò ad aggiungere lui.
    Era così, per dire. Stai tranquilla comunque, su.
    Lei non si scompose. Rain si voltò e guardò indietro. La città, bluastra opaca, sembrava continuare la propria vita in maniera completamente indifferente.
    Forse sarebbe stato un incontro importantissimo, forse solamente una scocciatura. Lui era curioso, come sempre, ma qualcosa in lui si era smosso.
    I ricordi della sua vita passata, in qualche modo, continuavano a dargli inquietudine e angoscia.
     
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    E il Torvo Beone sia. Una taverna relativamente tranquilla, come diceva Rain. A Yorke come abbiamo ampiamente detto non erano rare. La "tranquillità" del posto era garantita dall'affarista di zona con giri d'affari talmente grossi da essere interessato a mantenere l'ordine pur di far girare indisturbati i propri soldi. Qui mandanti e mercenari potevano incontrarsi senza temere improvvisi colpi di testa e qualsiasi brutta intenzione veniva stroncata sul nascere dall'attenta vigilanza di tirapiedi con un addestramento di base sicuramente all'altezza. Non che gli incidenti non capitassero ogni tanto, in fondo era sempre di Haven che si stava parlando. Tuttavia Rain aveva visto lungo quando aveva scelto quel posto come luogo di incontro.

    Mezzanotte e un quarto e non vi sarebbe stata traccia del proprio avventore. Rain seduto al suo tavolo avrebbe forse ordinato qualcosa, nel frattempo. Il posto era abbastanza frequentato per essere mezzanotte, tre quarti dei tavoli erano occupati e due ragazze facevano avanti e indietro con vassoi e boccali servendo i presenti con non troppo entusiasmo. La luce interna era calda, dovuta alle numerose lampade ad olio appese alle pareti e posate sui tavoli. L'odore era di terra e paglia umida, sparsa tutta intorno sotto i piedi degli avventori, oltre che di legno bagnato da un infinità di aromi e liquori. Tutto sommato non era sgradevole, se ci si metteva la lieve brezza marina che filtrava dalle finestre aperte.

    I presenti non sembravano i soliti marinai riuniti per una semplice bevuta. Alcuni erano distinti, indossando abiti puliti e qualche ornamento d'oro. Qualcun altro aveva abiti esotici, altri ancora avevano l'aspetto di cacciatori esperti. Diversi incappucciati, ma ad Haven ci si faceva presto il callo a chi celava la propria identità in pubblico. Nel complesso Rain avrebbe persino potuto annoiarsi fino a quando una voce femminile arrivatagli alle spalle non l'avrebbe raggiunto.

    Sei qui da molto? Chiese ostentando fintà normalità per poi superare Rain sfiorando la sua spalla con una mano ricoperta da un guanto di pelle nera e prendendo posto al tavolo del ragazzo, sedendosi di fronte a lui. Era una moretta dagli occhi chiari, di un colore non propriamente decifrabile data la luce dorata che deformava ogni colore nella penombra di quel posto. La donna riservò a Rain uno sguardo fiero, prendendosi il tempo di scrutare le reazioni nel ragazzo.

    Non credo che noi due ci siamo mai conosciuti, ma mio padre mi ha parlato molto di te. Aggiunse, giungendo le mani incrociando le dita tra loro e protendendosi in avanti sul tavolo. So che probabilmente ti aspettavi lui a questo incontro. Ho usato lui perché è con lui che hai sempre trattato in passato e questo poteva essere un incentivo a presentarti all'appuntamento.

    Diede il tempo a Rain di rispondere, magari, poi disse senza troppi giri di parole. Mio padre è morto due anni fa. Ma quando ho saputo che il Rain signore di Ame, capo dei mukenin, era arrivato ad Haven non ho potuto fare a meno di organizzare un incontro. Credo che una nostra collaborazione potrebbe giovare agli interessi reciprochi. Concluse, mantenendo un tono di voce basso e mellifluo, con le sopracciglia che di tanto in tanto si inarcavano incorniciando uno sguardo che denotava interesse e un pizzico di malizia. Non stava utilizzando il suo fascino per ottenere qualche tipo di ascendente su di lui, sembrava più qualcosa che le veniva naturale.
     
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    Rain era seduto ad un tavolo, occupato solo da lui, sorseggiando qualcosa da bere non troppo alcolico. La situazione non gli andava a genio e non ne era per nulla entusiasta, ma comunque aveva dato la sua disponibilità per l'incontro e ormai doveva andare fino in fondo riguardo quella faccenda.
    Il Torvo Beone, locale piuttosto tranquillo, era quella sera frequentato da ogni tipo di avventore. Rain sbuffò e posò lo sguardo su uno di essi.
    Dall'aspetto non poteva che essere un assassino o un mercenario: il suo volto era coperto e i suoi abiti larghi nascondevano probabilmente lame e armi di ogni sorta. Lo sguardo dell'uomo, che nascondeva dei capelli neri e una pelle liscia e levigata, guardava distrattamente il suo tavolo su cui la cameriera aveva appena appoggiato un piatto di verdure grigliate.
    Trovandosi di fronte alla necessità di scoprirsi parte del volto per dover mangiare, lo strano individuo abbassò il tessuto che gli copriva la bocca e iniziò a mangiare lentamente quell'umile pasto.
    Si rivelò essere un ragazzo sbarbato certamente più giovane di Rain, dai lineamenti fini e leggermente femminei.
    Lo spadaccino venne ridestato da quella sua osservazione da una voce femminile che poi si rivelò essere la persona che stava aspettando.
    Rain non sapeva veramente cosa pensare e non fu né sorpreso né deluso dall'appena scoperta identità del suo interlocutore. Tutta quella storia lo stava un po' annoiando e non vedeva l'ora di arrivare dritto al punto.
    Il ragazzo, sorseggiando la sua bevanda, batté tre volte il medio sul tavolo con la mano destra.
    L'assassino, dall'altra parte della taverna, osservò il messaggio in codice di Rain e continuò a mangiare con calma le sue verdure. Nessun problema, per ora.
    Rain si sera presentato da solo, come accordato, all'appuntamento, ma si era portato uno dei suoi collaboratori per coprirgli le spalle. Yazh era un assassino discreto, giovane ma entusiasta, che si era messo a fianco di Rain e di alcuni suoi più esperti collaboratori. Se lo era portato con sé sia per testare le sue capacità e la sua fedeltà, sia per effettivamente avere una spalla in più in caso la situazione fosse rapidamente degenerata.
    Non mi aspetto nulla da questo incontro, ma lasciami dire che i tuoi modi non sono in grado di ispirarmi particolarmente fiducia. Prima mi fai fermare da quello strano tipo che parla di Dihadori, poi ti presenti avendomi fornito un'identità diversa.
    Iniziò calmo Rain.
    Guardò negli occhi la donna: era attraente e giovane, ma qualcosa in lei non andava. Sembrava eccessivamente sicura di sé e questo a Rain proprio non piaceva.
    Arriva dritta al punto, per favore. I tempi in cui i criminali mi facevano offerte pensavo fossero finiti per sempre.
    Voleva cercare di sembrare il più possibile sulle sue e il più possibile con la situazione in mano. Era arrivato fino a quel punto e ora voleva sentire cosa diavolo volesse da lui un'ex associazione criminale di mukenin o ciò che ne restava.
    Lo sguardo di Rain si posò sul tavolo, unto e legnoso, per poi rialzarsi e osservare la ragazza.
    Yazh, nel frattempo, continuava distrattamente a mangiare piano a qualche tavolo di distanza.

     
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    Che rude che sei... Pronunciò lei con tono quasi canzonatorio, senza perdere quell'aria vagamente compiaciuta e maliziosa. Liberò le mani tra loro per avvicinare la destra al volto e aggiustarsi una ciocca di capelli sull'orecchio. Ma sai, non tutti possono permettersi di andarsene in giro per Haven senza una preoccupazione al mondo come fai tu. Persino la tua ragazza potrebbe rischiare grosso se si venisse a sapere chi sei veramente...

    Non era una minaccia, o almeno non sarebbe suonata come tale. Sembrava più l'esternazione di un pensiero, una preoccupazione che accomunava un po' tutti ad Haven. Beh certo, a meno che tu non sia in cima alla catena alimentare. Ed anche lì, gli amici potevano facilmente diventare nemici quando gli interessi cominciavano ad entrare in conflitto e la prudenza non era mai troppa, finché si rimaneva entro quei confini anarchici.

    Lei non faceva eccezione. Una ragazza così giovane, prendere in mano le redini di un "attività" tanto pericolosa quale era quella del padre. Di certo se era arrivata fin lì non era una sprovveduta. Rain forse se ne era già reso conto e quella sicurezza che la donna tanto ostentava doveva avere un minimo di fondamento. Doveva esserci un motivo se lei non sembrava temere di incontrare una persona come Rain in un luogo tanto pubblico.

    I tempi di cui parli tu son finiti davvero. Rispose poi, avendo una piccola reazione sul volto quando sentì Rain trattarla con superiorità, ma sopprimendola con eleganza con il suo classico sorriso. Ho visto il tuo nome appeso ad un paio di caserme imperiali quindi direi che a questo tavolo oggi non stai più ricevendo un'offerta da "criminali", bensì una proposta tra pari e colleghi. Rispose a tono, cercando di mimare lo stesso distacco che Rain stava usando fin da principio. Era suo solito portare la conversazione su piani meno formali, sfruttando anche il suo ascendente femmminile, tuttavia cominciò a sospettare che con Rain non avrebbe attaccato e quindi si diede un tono più freddo, cercando di continuare la conversazione come una mera trattativa di affari.

    Le leggi le fanno i vincitori, Rain, tutti quelli che non si adeguano finiscono irrimediabilmente nella nostra categoria. Se continui ad associare la tua presenza qui alle scorribande di mio padre e la sua banda ai tempi di Ame, ti prego di aprire le tue vedute e concedermi il beneficio del dubbio. Diventò diretta e concisa, come Rain voleva. In fondo lo aveva voluto lì per trovare un potente alleato, non certo per fare due chiacchere in amicizia.

    Sicuramente ti sarai informato già circa il nostro conto e sì, è vero, siamo ancora i Luna Rossa, abbiamo mantenuto il nome per sfruttare la fama guadagnata nel tempo come deterrente o ascendente, a seconda delle situazioni. Come è vero che manteniamo molte attività criminali redditizie, ma solo per finanziare i nostri veri obiettivi. A questo punto si guardò distrattamente intorno, come per monitorare una situazione all'interno del locale che era già sotto controllo, ma una controllatina non guastava mai.

    Tornò poi su Rain, guardandolo intensamente negli occhi come per capire da che parte fosse una volta per tutte. Abbiamo perso tanto, troppo per via di quattro soldati che giocano a fare la guerra. Se adesso siamo relegati quaggiù a nasconderci come ratti è perché nessuno ha saputo usare la testa quando era necessario. Adesso l'impero ha in pugno tutta Kalendor, ma noi vogliamo riprendercela, un pezzo per volta.

    L'ultima parte fu pronunciata con voce bassa e risoluta, lo sguardo era diventato serio e carico di determinazione. Si allontanò dal tavolo poi, poggiando la schiena contro lo schienale della sedia continuando ad esaminare attentamente Rain. Voi più di tutti, come mio padre, avete perso molto. Per questo ho creduto che uno come te, con il tuo passato, tutta quella gente morta ad Ame... Avrebbe avuto lo stesso interesse a fargliela pagare a quella gente.

    Noi stiamo già facendo la nostra parte. Abbiamo già scovato decine di spie imperiale qui ad Haven: è da qui che vogliamo cominciare a fare pulizia. Ci sono diversi come te che si nascondono quaggiù, persone con capacità straordinarie indispensabili per riprenderci queste isole. Ma darebbero più retta ad uno con il tuo nome che alla figlia di un criminale. E' per questo che sono venuta qui a proporti di unirti alla nostra causa. E qui si fermò, spostando distrattamente lo sguardo.

    Non so cosa ti spinge ad andare avanti ormai, molti dei tuoi fratelli si sono ridotti a straccioni ricolmi di rancore e sensi di colpa che conducono una vita miserabile tra vizi e depressione. Altri si sono fatti uccidere in attacchi suicidi a pedine imperiali. Altri ancora vogliono chiudere col passato, hanno assunto altre identità, si sono rifatti una famiglia e addirittura collaborano di buon grado con l'Impero. Non so cosa hai intenzione di fare da qui in poi, ma questo è quello che stiamo già facendo noi. Questo è quello che posso proporti questa sera. Sono consapevole di avere più bisogno di te di quanto tu possa averne mai di noi, ma sospetto che qualcosa possa interessarti di quanto ti ho detto finora e spero tu possa prendere in considerazione di unirti a noi. Concluse, fissando Rain con aria nemmeno troppo speranzosa. In effetti girarci troppo intorno non serviva a nulla, se a Rain non interessava entrare in affari con loro non c'era altro modo per convincerlo. Eccetto le cattive maniere era chiaro, ma non era ancora sicura di volersi giocare una carta tanto pericolosa.
     
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    La proposta fu leggermente deludente.
    Quando Helen venne tirata in ballo per l'ennesima volta, quando nuovamente una persona sconosciuta la nominava pur di attirare l'attenzione di Rain, il ragazzo diventava furioso. Il primo impulso che ebbe fu quello di alzarsi e andarsene per evitare di compiere gesti sconsiderati, poi però riuscì a calmarsi ed emise un lungo sbuffo col naso per far uscire ogni tipo di rabbia che gli stava montando in quel momento.
    La ragazza stava tentando in ogni modo di tenersi a galla da sola nel mare di impotenza in cui aveva da sempre nuotato, ma nello stesso momento voleva che Rain le gettasse un salvagente. Contemporaneamente però aspirava ad un obbiettivo ben lontano: la conquista di Kalendor.
    Il ragazzo sorrise come avrebbe sorriso a un bambino dai sogni troppo utopistici.
    Avrebbe voluto riderle in faccia, ma oltre a non giovare a nessuno quell'azione avrebbe solo reso tutto più teso. Cercò quindi di far capire a quella ragazza come andava quello che rimaneva del mondo.
    Sei veramente un'ingenua.
    Disse. Troppe cose avrebbe dovuto dirle e troppe cose lei avrebbe dovuto sapere. Semplicemente non c'era né tempo né occasione.
    Yazh, dall'altra parte del Torvo Beone, ordinò un dolce della casa.
    Kalendor non può essere riconquistata perché Kalendor non VUOLE essere riconquistata.
    Iniziò, cercando di non scomporsi.
    Non ci sono guerre, non ci sono grandi signori della guerre che comandano interi villaggi, non ci sono preoccupazioni per chi è assoggettato. L'Impero ha vinto, ragazza, e ci sta insegnando come va scritta la storia.
    Disse 'ragazza' perché non era sicuro che la donna si fosse effettivamente presentata.
    Quello che dovrebbe essere Il Messia sta facendo quello che per millenni gente come noi non è riuscita a fare, lo capisci? Siamo in un mondo in cui se nasci ad Ephiora puoi raggiungere Shal'aria o Vaygjord senza che nessuno ti dica nulla. Non ci sono confini, non ci sono razze: nessuno conta nulla perché ci è stato dato un libero arbitrio completamente onnipotente e inefficiente al tempo stesso.
    Quel discorso, nella sua testa, lo aveva ripetuto migliaia di volte e ammetterlo fu per Rain come una coltellata.
    Neanche io posso fare nulla, capisci? Neanche io ho il potere di cambiare in nessun modo il corso della storia. Posso unirmi a voi e giocare a fare il capo dei ribelli incappucciati, ma nulla cambierà.
    Si prese un attimo: i suoi occhi erano spalancati e la sua mente concentrata su ogni parola, su ogni ricordo.
    Noi rinnegati o voi criminali saremmo paradossalmente l'unico elemento mortifero all'interno di questo sistema. Noi siamo l'unica cosa che può creare prurito sulla pelle di Dio, disturbando l'umanità e ricordandole quanto esistano persone cattive per il solo gusto di farlo.
    I tempi erano finiti, questo Rain lo sapeva. Erano finiti per fare tante, troppe cose e voleva che più persone possibili lo capissero. Lui lo aveva realizzato, ormai anni prima, nel suo finto esilio tra le montagne.
    Il tempo per fare progetti di conquista, per inseguire ideali utopistici di giustizia e uguaglianza era finito semplicemente perché ogni obbiettivo era già stato raggiunto dall'Impero.
    Lui non poteva più rendersi protagonista della parte più buia, piovosa e rinnegata del mondo. Doveva accettare quello che era successo intorno a lui, ma nel farlo doveva avere degli scopi molto chiari.
    Ma non credere che questo voglia dire arrendersi a ciò che un'entità superiore ha architettato per noi, questo no.
    Aggiunse poi, abbassando la voce e rendendola profonda e solenne.
    Quello che io ho intenzione di fare è comprendere la radice del corso delle cose e restituirla a tutti. Comprendere come la storia sia andata in questo modo e fare in modo che non si ripeta mai più.
    Ciò che ho già iniziato e che a Neagora già sta succedendo ora è l'inizio di qualcosa che per le persone medie e insignificanti passerà inosservato ma che toglierà all'Impero la possibilità di decidere a priori la vita di ognuno di noi.
    E il tutto senza modificare la scacchiera del continente.

    Finita l'ultima frase un'ombra di un ghigno, enigmatico e incomprensibile, si dipinse sul volto serio e pallido del ragazzo.
    Poi Rain si ricompose.
    Questo è quello che sto facendo. Se volete continuare con le vostre truffe e i vostri raggiri fatelo, ma poi non incantate qualche ingenuo con sogni di giustizia e gloria perché sarete stati voi gli unici a renderli impossibili.
    Il dolce di Yazh, una fetta di torta della casa, arrivo al suo tavolo. Il ragazzo ringraziò, poi posò un sacchetto di monete, troppo pieno vista la frugalità della cena, nella mano del cameriere.
    Se invece è la matrice del mondo che volete comprendere e cambiare, la scelta è vostra. Nessuno mi è indispensabile.
     
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    La donna ascoltò la risposta di Rain, aggrottando le sopracciglia in alcuni passaggi. Non era certo la risposta che si aspettava, in tutti i sensi. Non solo perché un poco sperava che l'odio per l'impero sarebbe bastato per convincere Rain a fare qualcosa per ripagare quei bastardi con la loro stessa moneta. Ma anche perché non si aspettava assolutamente che Rain fosse già in movimento per conto proprio.

    La visione proposta dall'uomo sembrava certamente illuminata e logica, ma cozzò contro gli ideali della donna su di un punto in particolare. Noi non siamo l'unico male del mondo Rain. Cominciò a dire lei con tono leggermente deluso.

    Certo l'Impero puo' far credere che adesso sia tutto perfetto, che le strade siano più sicure e che il mondo sia finalmente in pace. Ma quante gole sono state mozzate, quante grida strozzate, quanti diritti calpestati per ottenerlo? Battè il pugno al pronunciare quella domanda, attirando lievemente qualche sguardo delle persone intorno. Sembrava ora colta da un improvviso scatto di rabbia.

    Sembrò rendersene subito conto quindi si ridimensionò, ma senza perdere l'espressione risentita sul suo volto. Credi che rimarrebbero tutti così buoni e zitti sotto il loro controllo se sapessero la verità? Chiese nuovamente ma ritrovando un volume di voce più adeguato.

    E come credi riusciremmo ad aprire gli occhi alle persone se ogni minuscolo segno di protesta viene soffocato da loro nel sangue? Lo trafisse con il suo sguardo che portava il segno di un passato che lei non sarebbe mai riuscita a dimenticare. Decise però di non chiudersi a riccio di fronte a quello che Rain le aveva rivelato. Quell'uomo sembrava riservare diverse sorprese: diceva di avere alleati persino a Neagora, lei invece era solo riuscita a mettere insieme qualche mela marcia per tentare un approccio più diretto di quello descritto dall'altro.

    Si ricompose rendendosi conto che attaccarlo non avrebbe giovato a nulla anche se non aveva più l'autocontrollo e imperturbabilità che ostentava all'inizio. Perdonami.. devo ammettere che non mi aspettavo una risposta tanto... moderata da te. Forse sono io ad aver perso troppo da non riuscire a rimanere così obiettiva quando si tratta di farla pagare a quella gente.

    Tamburellò con le dita sul tavolo, lo sguardo altrove mentre cercava di maturare una decisione. Poi guardò Rain, come se guardarlo la aiutasse a capire meglio cosa fare. Una sguardo che sembrava cercare la risposta alla domanda "posso fidarmi di lui?"

    Se hai fatto dei progressi, la cosa mi interessa. Siamo aperti ad altre strade, non pretendiamo di avere la soluzione assoluta ad un problema tanto complesso. In fondo, è contro ad un intero impero che ci stiamo mettendo. Tuttavia credo che ci serva del tempo per parlare delle reciproche condizioni e questo non credo sia il posto adatto. Si alzò quindi all'improvviso, sembrando intenzionata ad andarsene così repentinamente. Quindi camminò verso Rain, fermandosi al suo fianco e chinandosi verso di lui per sussurrarle qualcosa all'orecchio.

    Perché non vieni a trovarci? Potrei avere già qualcosa che potrebbe esserci di aiuto. Un ex ninja passato agli imperiali che potrebbe sapere molto circa la loro caccia alle streghe e dintorni. Dico che potrebbe interessarti perché nei suoi vaneggiamenti ha fatto il tuo nome... Allungò la mano destra, passando un piccolo foglio di carta piegato quattro volte. Cercò lo sguardo di Rain ora che i loro volti erano estremamente vicino, giusto per vedere se quella informazione sortiva qualche sorta di reazione in lui, poi con un ultimo occhiolino si allontanò senza dire altro, confidando che l'altro si sarebbe fatto vivo da sè, prima o poi.
     
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    La ragazza, ovviamente, non era in grado di capire.
    Rain non mise in dubbio che ci avesse provato anche, a capirlo si intende, ma comunque non fu sufficiente. Lei si aspettava una risposta ferma, carica di determinazione e di voglia di rivalsa, di odio e di vendetta. Quello che ascoltò, invece, era il discorso di un uomo adulto che aveva speso anni a pensare e a meditare.
    L'attenzione del ragazzo fu però subito catturata dalle ultime parole dell'interlocutrice. Un ex ninja passato agli imperiali era una cosa ben rara e i pensieri del ragazzo andarono lontano fino a diventare poco plausibili e realistici.
    Interessante, mi piacerebbe parlare con lui.
    Disse infine, cercando di mantenersi il più imparziale possibile.
    La ragazza se ne andò, lasciandolo solo al tavolo con i suoi pensieri.
    Decise di non fermarsi lì un minuto di più, pagò da bere e se ne andò. Yazh, annoiato e assonnato dalla sua missione rivelatasi assolutamente inutile e priva di azione, uscì dopo una decina di minuti dal Torvo Beone per non destare sospetti.
    Rain tornò nella sua stanza di albergo camminando piano e guardando per terra, pensieroso. L'incontro non lo aveva scosso né gli aveva fornito alcun tipo di informazione utile ma forse nel futuro immediato qualcosa sarebbe stato valevole di attenzione.
    Avere sotto di lui la Nuvola Rossa, inoltre, era un'idea che non gli metteva alcun brivido. Persone in più a cui dire cosa fare, quello sì, ma che tipo di persone?


    ***



    Il covo dei Nuvola Rossa era situato vicino alla scogliera, a qualche chilometro dal porto. Quando, tornato da Helen, Rain avrebbe descritto il luogo, le uniche parole che gli sarebbero sembrate riassuntive sarebbero state solo: "è proprio un rifugio per briganti".
    Andò lì da solo, non tranquillo ma fiducioso, venendo accolto e guidato da uno dei membri della banda. Era un tipo tarchiato sulla cinquantina che per tutto il tempo fissò Rain con sguardo stralunato e inebetito fino a rendersi quasi ridicolo.
    Gli mostrò il covo come se fosse una casa che Rain stesse per acquistare e ne elogiò le proprietà architettoniche: antico di costruzione, ben nascosto da sguardi indiscreti, molte sale a disposizione per tenere merce e prigionieri..
    Vogliamo andare da questo famigerato ex ninja che avete catturato?
    Si risolse poi a dire il ragazzo. La richiesta venne ben presto accolta e fu portato in uno scuro corridoio dalle pareti diroccate e sull'orlo del crollo.
    E' da molto tempo che lo teniamo prigioniero. Non ne vuole sapere di morire: è come se fosse fatto di qualche cosa di non umano..
    A quelle parole entrambe le sopracciglia di Rain si alzarono, ma il ragazzo riuscì a reprimere ogni possibile commento e diede la sua approvazione annuendo.
    Altri uomini giravano armati per i corridoi e alcuni di essi si unirono a loro, come a scortarli.
    Quando aprirono la porta della cella, Rain rimase pietrificato.
    Scaar, suo unico e vecchio amico in tutto quel mondo cangiante e mutevole, era al centro della stanza e appeso al soffitto tramite robuste catene. La prima cosa che Rain pensò è che ci fosse una sorta di somiglianza incredibile tra il prigioniero e il suo antico compagno, ma aguzzando la vista e avvicinandosi non poté che constatare come fossero in realtà la stessa, incredibile persona.
    Scaar era stato trafitto in maniera mortale da Rain, almeno due o tre anni prima, dopo averlo attirato in un'imboscata imperiale a cui lo spadaccino era sfuggito senza troppe difficoltà. Ricordava chiaramente la sensazione che provò quando il suo osso penetrò nel collo di Scaar per almeno una decina di centimetri.
    Nessuno sarebbe potuto sopravvivere a un simile attacco, ma se quel qualcuno esisteva non poteva che essere proprio Scaar. Lo aveva sognato molte volte, infinite a dirla tutta, e ogni volta lo uccideva di nuovo come in un ciclo infinito.
    Il suo cervello aveva inscenato la morte di quell'uomo così tante volte che Rain per un attimo non riuscì a credere di essere nel mondo reale e ebbe l'impulso di farsi uscire di nuovo un osso dal palmo per ucciderlo nuovamente.
    Non disse nulla e cercò di non tradirsi commettendo errori emotivi. Assurdo, comunque, che la figlia di un mukenin di Ame non avesse riconosciuto in quello strano individuo il vecchio braccio destro di Rain.
    Ma a questa e a molte altre domande, probabilmente, la risposta sarebbe arrivata tra non molto.
     
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    Scaar sollevò lievemente il capo solitamente tenuto completamente riverso in avanti, giusto per permettere alle iridi di scorgere la figura appena entrata. Controluce non riuscì a distinguere alcun dettaglio, solo la nera sagoma che a braccia conserte doveva stare fissandolo. Faticava a tenere gli occhi aperti, la luce continuava a dargli fastidio, tuttavia quello era il primo diversivo dopo giorni e giorni di nulla totale, solo con i propri pensieri e il proprio dolore. Quella novità sembrava interrompere per il momento una lenta agonia che lo avrebbe portato gradualmente alla morte, ma che nel suo caso forse si sarebbe prolungata ad oltranza senza mai porre un vero epilogo a quella miseria.

    Hataris, piccola megera bastarda...
    Improvvisamente mormorò, dondolando la testa a destra e sinistra in un evidente e prolungata agonia. La posizione in cui si trovava non gli concedeva riposo nè sollievo. I muscoli ormai non erano più in grado di tendersi e il peso del corpo gravava da giorni solo sulle spalle. La testa del braccio sarebbe già uscita dalla spalla da un pezzo se non fosse per la straordinaria anatomia del suo corpo, che sopportava tensioni e slogamenti con incredibile tolleranza.

    Sollevò il capo un po' di più cercando di vincere il fastidio provocato dall'improvviso spiraglio di luce filtrato nella stanza dalla porta socchiusa. Rimase fisso ad osservare la sagoma per diverso tempo, muovendo disordinatamente il capo perché anche quel minimo movimento gli costava fatica e dolore, al punto da non riuscire a rimanere fermo con la testa.

    Rain?
    La voce roca pronunciò il nome con maggiore forza, seppur con grossa fatica. Il capo si immobilizzò di colpo trovando nuova forza in quella dubbia visione. Nell'oscurità sarebbe stato impossibile scorgere le espressioni del volto, ma in quel momento Scaar stava strabuzzando gli occhi, cercando di capire se l'impressione avuta fosse quella giusta. No, non aveva riconosciuto l'amico semplicemente dalla sagoma nera in controluce. Ne percepiva l'energia, una fonte con cui aveva condiviso tanti anni della propria esistenza e che ormai avrebbe riconosciuto in mezzo a mille.

    Devo ucciderla, Rain... Riprese a dire, ormai convinto di avere proprio l'amico di fronte a sè. Aumentò la veemenza delle proprie parole, provocando un paio di scossoni nella catena metallica al quale era appeso. Soffocò un urlo agonizzante nel sentire i tendini delle spalle già infiammate e provati oltre ogni forma di resistenza umana provocargli delle fitte allucinanti.

    Hataris! Gli uscì fuori quasi come un latrato strozzato. Devo ucciderla! E' l'unico modo per liberarmi!


    L'ambiente si riempì dei suoi vaneggiamenti e del suono metallico della catena ripetutamente scossa dai suoi spasmi. In quel momento sopraggiunse la figlia di Shiken, la numero uno dei Luna Rossa, accompagnata da due dei suoi sottoposti.

    Per la maggior parte del tempo è così quando riceve visite. Credo che il suo cervello sia irrimediabilmente danneggiato...
    Commentò la donna senza un briciolo di pietà, osservando il triste spettacolo che il prigioniero stava dando di sè.

    Scaar si fermò qualche istante nel notare l'arrivo della donna e il breve colloquio con Rain, poi improvvisamente esplose nell'ennesima serie di richiami, con un cane rabbioso di fronte ad un estraneo. Hataris! Hataris!

    La donna a questo punto, in un gesto che dimostrava una via di mezzo tra fastidio e disgusto, fece un cenno all'uomo alla propria destra che prontamente fece un paio di passi verso il prigioniero e sollevò una mano verso di lui. Un sibilo precedette uno schioccho sordo della magia d'aria che coinvolse il capo del prigioniero urlante, zittendolo all'istante. La forza del boato lo fece dondolare vistosamente, esanime dopo il colpo ricevuto.

    L'ha solo stordito, tranquillo. Fece verso Rain con inespressivo distacco, per poi voltarsi verso di lui. Sembra che continui a confondermi con un'altra donna. Alcuni miei uomini mi hanno riferito che continui a vederla anche quando è solo nella cella.

    Si passò su di una ciocca di capelli, sistemandola, quindi riprese a parlare. Allora, lo conoscevi? Ha fatto il tuo nome una decina di volte nei suoi vaneggiamenti, ho pensato foste conoscenti. Hai qualche idea su chi possa essere questa Hataris?

    Nella voce della donna non c'erano tracce di particolare sospetto. Sembrava guidata da semplice curiosità e, sebbene non ci sperasse poi tanto, immaginava che consegnarli un simile traditore avrebbe potuto far piacere a Rain, per via della sua "ricerca della verità"

    E nonostante la veemenza con cui Scaar aveva chiamato Hatarsi la figlia di Shiken, al punto da poter indurre effettivamente Rain a credere che si stesse riferendo proprio a lei, il giovane kaguya sicuramente s'era già informato a fondo del fatto che il nome della signora dei Luna Rossa fosse Gwen.

     
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