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Mad4Opps.
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Inferno UmanoQuesto freddo uccide.
Quando alzavo lo sguardo verso quel promontorio, ogni volta che sgomitavo contro i miei compagno di sventura..non riuscivo a pensare ad altro.
Ero cresciuto fra le lande ghiacciate di Vayrgjord eppure sentivo il gelo penetrarmi nelle costole come uno stocco. Anche i miei fratelli attorno a me non se la passavano bene, ma questo perché quei bastardi ci avevano tolto tutto: armi, armature, case materiali e pellicce..
[...]
Era successo appena due giorni prima ed in quelle ultime quarantotto ore non avevo avuto altro pensiero per la testa.
La bandiera nordica volteggiava fiera nel cielo, le nostre anime erano pronte ed i nostri uomini erano coraggiosi.. ma l'acciaio era tutto ciò su cui facevamo affidamento: guidati dal valoroso Olrand abbiamo difeso con tutta la nostra volontà Fort Vakdlord, ma l'impero alla fine ha sopraffatto anche noi.
Quando l’artiglieria ha sfondato le mura di cinta il mio coraggio ha retto l’esplosione, ma quando il generale è stato decapitato davanti ai miei occhi capì che era finita: mollai la presa su entrambe le mazze e mi inginocchiai a terra pronto a raggiungere l'eterna vita dopo la morte.. ma non arrivò.
Venimmo radunati in ingenti numeri e tenuti in condizioni subumane fino a nuovo avviso: dopo due giorni con una misera razione di cibo e acqua venni preso assieme ad un quarto del mio esercito, attaccato con una catena ad una palla al piede e caricato sull'imbarcazione in cui mi trovavo ora.
Tenevo lo sguardo all'orizzonte mentre la gelida brezza mi spaccava le labbra: mi guardai attorno più volte, sentendo le fitte allo stomaco per la delusione ed il rammarico.
Non riuscivo a credere che un popolo così forte e guerrigliero stesse cadendo così velocemente; eravamo un plotone di soldati incatenati e ammassati come delle sardine uno sull'altro, messi a guardia da una ventina di imperiali.
Speravo che la nave cedesse per tutto quel peso affondando nel mare.. se avessi saputo da prima la destinazione di quel viaggio, avrei saputo con certezza che era meglio annegare che finire nel bollore di quell’inferno terrestre.
Nemmeno lontanamente ero felice, ma devo ammettere che rimasi più che stupito osservando da vicino quella particolare insenatura: ora che vi eravamo dentro era stupito da quanto fosse lunga, a tal punto da tagliare il promontorio a metà dell’interno. Ad un certo punto rallentammo incredibilmente, proseguendo a poco più di un passo d'uomo: alzando lo sguardo notai che ciò era per il restringimento del passaggio, la presenza di pericolosi pontili faceva inoltre intuire che stessero erodendo la roccia per allargarlo.
Dunque questo sentiero non era naturale.. o almeno non del tutto. Ma perché stavano facilitando l’accesso ad una zona così disabitata che avrebbero utilizzato per esiliarci? Non ero mai stato un lupo di mare nella mia vita, motivo per cui non sapevo che quest’isola era tutto sommato molto vicina alla patria ed era stata persino stata utilizzata come appoggio navale in passato.
[…]
Scendi, feccia!
La prima parola che mi venne rivolta fu da un tarchiato bastardo imperiale: mi strattonò con forza quando arrivò il mio turno di scendere, la pesante palla al piede cominciò a rotolare giù dalla passerella spinta dalla gravità e mi scagliò a terra dietro il suo ingente peso. L’uomo in uniforme si fa una grassa risata assieme ai suoi colleghi, poi mi rifilò un calcio affondandomi gli anfibi nel costato destro intimandomi di alzarmi: mi tirai su con non poca fatica e ripresi ad affondare passi sul legno del porto.
Ogni passo sembrava una scalata di una tortuosa montagna, i miei passi s’incrociavano e le gambe erano unite quasi come le zampe di quei buffi animali dei ghiacciai: pensavo che l’acciaio dell’armatura e delle doppie armi fosse il massimo dello sforzo, ora lo rimpiangevo quando ad ogni fitta ai lombari sembrava che si stesse spezzando a metà la colonna vertebrale.
Percorsi appena una ventina di metri a fatica quando mi trovai altri uomini in divisa davanti a sbarrarmi il passaggio: erano coloro che chiudevano la fila, aspettai per almeno un’oretta alla mercé del freddo vento marittimo coperto solamente da stracci da prigioniero e dalle mie catene.
Alcuni uomini accanto a me avevano provato a rannicchiarsi o sedersi, ma si erano presi le peggio botte: i più vecchi ed i più deboli, oltre al pestaggio, vennero trattenuti lì quando finalmente la fila venne fatta scorrere. Non volevo nemmeno immaginare il loro destino, dato che stavo iniziando a farmi una vaga idea del mio..
Superata la zona portuale capii quanto fosse realmente desolato fosse questo posto: dopo anni ed anni qui sarebbe sorta la malfamata città di Tortuga.. oggi non c’è altro un enorme bosco ed una vasta radura in terra battuta.
A quasi cento metri di distanza vi era una folla di spettatori: una cinquantina ad occhio e credo, a metà fra il nostro gruppo ed il loro vi era un’altra fila di soldati a separarci l’uno dagli altri.
Non avevo visto altre navi arrivare, ero dunque certo che quegli individui fossero gli abitanti natali dell’isola: la distanza era troppa per cogliere qualsiasi dettaglio oltre il loro osservare in silenzio.
Continuai a muovermi fra le prime file, facendomi ipnotizzare dal gingillare delle pesanti catene dei fratelli attorno a me, interrotte spesso e volentieri da risuonanti frustate: era come essere pecore in un gregge, non protette ma braccate dai lupi.
Avrei potuto continuare a farmi domande su come la nostra abilità millenaria nel combattimento sia venuta meno, come la loro tecnologia militare ci abbia messi in ginocchio.. ma ormai tutto questo era vano.
Dal momento che mi era stata messa quella palla al piede, la morte seguiva i miei trascinati passi.
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Mad4Opps.
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Inferno UmanoProseguimmo lungo la vasta radura verso est, distanziandoci sempre più dalla folla di abitanti locali che diventavano man mano miseri puntini in lontananza.
Il tempo di percorrere altri duecento metri circa e ci ritrovammo innanzi lo scheletro di un enorme edificio: era completamente spoglio, privo di pareti di qualsiasi sorta, c'erano solamente aste in acciaio poste come basi per un edificio a tre piani.
Tutt'in torno vi era il nulla: numerosi ceppi di alberi sradicati alla radice, qualche erbaccia selvatica sopravvissuta alla deforestazione e spazio libero. Il più libero del mondo forse, ma non per noi.
Venimmo radunati in un quadrato composto da numerose file orizzontali una volta che eravamo tutti lui, poi ci dissero di tenere le mani raccolte dietro la nuca: il fuoco nelle anime di alcuni dei miei compagni continuava ad ardere e più di uno rimase impassibile ai loro ordini.. ma le conseguenze non tardarono ad arrivare.
Alle temibili frustate si aggiunsero i sordi tonfi di qualsiasi sorta di arma contundente priva di lama, il cuore mi si annodava nella trachea mentre le grida dei miei compatrioti sovrastavano ogni pensiero.
Era una battaglia persa e io già lo sapevo, non ci volle molto prima che anche gli altri nordici lo capissero e ahimè chinassero il (in alcuni casi sanguinante) capo. Un paio di imperiali estrassero delle scartoffie ed incominciarono a leggerle attentamente, nel mentre altre guardie prendevano "porzioni del gregge" dividendole.
Notai che il primo gruppo era piuttosto esiguo rispetto alla massa in quanto costituito solo da una trentina di persone: c'era anche da dire che il più piccolo fra gli individui selezionati pesava almeno un quintale. I più forzuti vennero dunque costretti a formare una fila separata e muoversi sotto le frustate dell'uniforme rossa.
Fui uno dei primi a venir preso subito dopo, mentre il resto di noi veniva diviso in due gruppi e spedito verso l'imponente base dell'edificio. Ora che vi ero così vicino riuscii a vedere anche un’interminabile fila di fatiscenti baracche alle spalle dell’edificio, l’ultimo barlume di speranza mi abbandonò.. non avremmo lasciato mai più quel luogo nella nostra vita..