Illusione o verità ???

role di Eizo per l'innata

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  1. .Ryu.
     
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    In quegli anni la strada principale di Alkarna, proseguiva verso Dibrali e Marek e terminava a Kandablhar. Era un
    percorso non più lungo di trecento chilometri, e a cavallo si percorreva in una giornata.
    Naturalmente non potevamo seguire la strada principale.
    Percorremmo a cavallo centinaia di valichi di montagna, e impiegammo più di un mese
    per completare il nostro itinerario.

    Il primo giorno ci accampammo sotto gli alberi.
    Le merci erano sparse su una radura
    erbosa nelle vicinanze, coperto con pelli di capra e di pecora, in modo che gli uccelli vedetta
    lo scambiassero per un gregge. Fra i pacchi rivestiti di pelli c’era anche qualche
    animale vivo.

    C’erano venti cavalli per noi e quindici animali
    per il carico. Quasi tutti gli uomini si alzarono nello stesso istante
    per andare a sistemare il carico sulle bestie da soma. Eizo provò a imitarli, ma fu intercettato
    da Yorka e Naameg, che vennero verso di lui con due cavalli.

    «Questo è il mio», annunciò Naameg, «e questo è il tuo».
    Yorka porse le redini a Eizo e controllò le cinghie che tenevano ferma la piccola sella.
    Annuì soddisfatto.

    «Cavallo buono», grugnì con il tono profondo e raschiante dei suoi momenti di
    buonumore.

    «È una bestia eccezionale», intervenne Naameg guardando con ammirazione il mio
    animale.

    «Yorka se ne intende. L’ha scelta per te dopo avere
    esaminato tutti gli altri cavalli. È stato il primo a notarla, e quando l’ha portata via ha
    causato qualche malcontento fra gli uomini».


    «Penso che saremmo all'incirca trenta uomini. I cavalli da sella non bastano», fece notare Eizo
    accarezzando il collo della giumenta per stabilire un primo contatto.

    «Sì, qualcuno va a cavallo, altri a piedi», rispose Naameg.
    Infilò il piede sinistro nella
    staffa e balzò in sella senza il minimo sforzo.

    «Facciamo a turno. Abbiamo dieci capre, e
    qualcuno deve badare al gregge. Inoltre lungo la strada perderemo qualche uomo.
    Inoltre i cavalli sono un dono per uno dei sultani di Alkarna.
    Quindi al ritorno ci aspetta una bella
    camminata!»



     
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  2. .Ryu.
     
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    «Hai detto che perderemo degli uomini?» chiese Eizo eccitato.
    «Certo, brutto sadico!» esclamò scoppiando a ridere. «Alcuni ci lasceranno per tornare ai loro
    villaggi. Comunque, sì, può anche darsi che qualcuno muoia durante il viaggio. Ma io e te
    sopravviveremo come al solito, ahahhallah! Abbiamo buoni cavalli. È un buon inizio!»


    Fece girare il cavallo con grande maestria, e si diresse verso un gruppo di cavalieri che
    si erano radunati attorno a Ibhar, il mittente della missione, a una cinquantina di metri di distanza.
    Eizo lanciò uno sguardo interrogativo a Yorka. Quest'ultimo annuì, e gli fece segno di salire in sella, rivolgendogli una
    specie di sorriso d’incoraggiamento e borbottando una preghiera.

    Erano entrambi sicuri
    che il cavallo avrebbe disarcionato Eizo. Yorka chiuse gli occhi, rassegnato al peggio.

    Eizo infilò il piede sinistro nella staffa e fece vorticare la gamba destra sul dorso dell’animale.
    Yorka aprì con cautela un occhio e lo vide
    tranquillamente seduto in sella. Visibilmente felice e arrossendo d’orgoglio gli rivolse uno
    dei suoi rari sorrisi.
    Eizo tirò le redini per far voltare il cavallo, e lo spronò delicatamente.
    L’animale reagì con calma, e si mosse con un’eleganza dignitosa.
    Improvvisamente scattò al trotto, e con estrema grazia, senza che Eizo dovesse spronarlo, lo
    portò verso il gruppo di Ibhar.
    Yorka lo seguì subito dopo, tenendosi un po' distante.

    Eizo si voltò verso di lui, e si scambiarono uno sguardo stupefatto.
    Grazie a quel cavallo Eizo sembrava quasi un vero cavaliere.

    “Andrà per il meglio”, mormorò tra sè e sè Eizo, ben sapendo, mentre le
    parole penetravano al ritmo del trotto nella spessa nebbia della sua illusione, di
    avere infranto le più elementari norme di scaramanzia. Il detto “la superbia andò a
    cavallo e tornò a piedi” echeggiava nella sua testa mentre si infilò orgoglioso nel gruppo di cavalieri
    tirando le redini come se sapesse che diavolo ci faceva in sella a una giumenta.

    Eizo si chinò verso Naameg e gli sussurrò all’orecchio:

    «Dov’è il valico? Al buio non riesco
    a vederlo».


    «Quale valico?» bisbigliò Naameg.

    «Il valico fra le montagne».

    «Vuoi dire Sooman?» chiese fuorviato dalla mia domanda.

    «È laggiù, trenta chilometri
    dietro di noi».


    «No, voglio dire, come passiamo attraverso quelle montagne per entrare in
    Shal'aira»
    chiese facendo un cenno verso la ripida muraglia di roccia che torreggiava
    nel cielo notturno proprio di fronte a loro, a meno di un chilometro di distanza.



     
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  3. .Ryu.
     
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    «Cambiamo strada. Non passiamo attraverso le montagne», rispose Naameg stringendo le redini nel pugno serrato,

    «passiamo sopra».


    «Sopra… le montagne?»

    «Certo».

    «Stanotte».

    «Certo».

    «Al buio».

    «Certo», ripeté tutto serio.

    «Ma non c’è problema, stà tranquillo. Yorka conosce la strada. Ci
    guiderà lui».


    «Ah, perfetto.
    Sono felice che tu me l’abbia detto.
    Ero preoccupato, lo ammetto, ma
    adesso mi sento molto meglio».


    Naameg rise divertito, e i denti candidi scintillarono nell’oscurità.

    A un segnale di Ibhar cominciammo a spostarci, disponendoci in fila indiana.
    La colonna era lunga un centinaio di metri, divisa con dieci uomini a piedi, una ventina a cavallo, diciassette cavalli da soma e un
    gregge di dieci capre.

    Eizo notò con grande rammarico che Yorka era a piedi.
    Era una cosa assurda che un cavaliere così abile dovesse camminare mentre Eizo montava su un cavallo.
    Eizo lo guardò marciare nel buio, davanti a lui, con le gambe grosse e leggermente arcuate
    che trottavano a un’andatura costante, e giurò a se stesso che non appena si sarebbero fermati lo avrebbe
    convinto a dargli il cambio.
    Dopo molte insistenze e estrema riluttanza, Eizo alla fine riuscì nel suo intento e dall’alto della sella Yorka continuò a fissarlo
    con uno sguardo disperato.
    Si risollevava solo quando si scambiavano i ruoli e poteva
    ammirarlo alle redini del cavallo mentre lui arrancava sul sentiero roccioso.

    Naturalmente non vai a cavallo in montagna.
    Trascini, bestemmi, spingi e a volte aiuti i tuoi
    compagni a trasportare un cavallo su per la montagna.

    Quando si avvicinarono alla base della catena, fu chiaro che fra le montagne c’erano aperture, sentieri e
    piste. Quelli che da distante sembravano muri levigati di roccia, più da vicino si rivelarono
    una successione ondulata di dirupi e crepacci stratificati.



     
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  4. .Ryu.
     
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    In certi punti i passaggi erano così grandi e ben spianati che sembravano fatti dall’uomo.
    Spesso invece erano così stretti e frastagliati che uomini e bestie erano costretti a procedere con la massima prudenza, tra barcollamenti e rischio di cadute nel dirupo.
    Ben presto, si inoltrarono nelle tenebre su uno stretto passaggio nella montagna.
    La paura di esser visti dal cielo era un assillo costante.
    Ibhar impose un oscuramento severo: durante la marcia era vietato accendere lampade o qualsiasi altra forma di luce varia.
    Fortunatamente quella prima notte il cammino era illuminato da una luminosa falce di luna, ma spesso le strade così sdrucciolevoli entravano in stretti canali sormontati da muri a picco di roccia, e venivamo inghiottiti nell’ombra.

    In quei momenti non si riusciva a vedere una mano tenuta davanti agli occhi.
    La carovana avanzava centimetro dopo centimetro fra i crepacci; uomini, cavalli e capre strusciavano contro la roccia e urtavano uno contro l’altro.
    Proprio mentre passavano su un burrone immerso nel buio,Eizo udì un gemito che velocemente aumentò d’intensità.
    Stava camminano tra due cavalli, tenendo le redini del suo animale con la mano destra e stringendo con l'altra mano la coda del cavallo difronte a se.




     
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  5. .Ryu.
     
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    Il suono aumentò d’intensità, facendosi sempre più acuto, così i due cavalli indietreggiarono d’istinto e, spaventati, scalpitarono con violenza sul sentiero.
    Il gemito si trasformò all’improvviso in un boato che scosse la montagna, e terminò in uno strepito infernale che lacerò la notte.
    Il cavallo alla sinistra di Eizo cominciò a sgroppare, e la coda gli sfuggì di mano.
    Cercando di riafferrarla nel buio perse l’equilibrio, e scivolò sulle ginocchia, graffiando il viso contro la roccia.
    La giumenta era terrorizzata quanto Eizo, e spinta dall’impulso di scappare cercò di avanzare sul sentiero.
    Eizo stringeva ancora le redini in pugno, e le usò per tirarsi su da terra, ma la giumenta lo urtò con la testa e cadde all’indietro.
    Con la paura che gli pugnalava il petto e gli trafiggeva il cuore, cominciò a barcollare e a scivolare, e alla fine cadde fuori dal sentiero, nel vuoto senza luce.
    Precipitò per tutta la lunghezza del suo corpo, e si arrestò udendo sopra di se lo schiocco delle redini che si tendevano fermando la caduta.
    Eizo sentì crepitio del cuoio delle redini che si tendeva e cedeva millimetro dopo millimetro, facendolo sprofondare sempre più nel precipizio oltre lo stretto bordo della cornice rocciosa.

    Sentiva le urla degli uomini sul sentiero sopra di se.
    Cercavano di calmare gli animali, e si chiamavano a vicenda per verificare che non ci fossero vittime.
    I cavalli soffiavano rumorosamente, spaventati e nervosi.
    L’aria era impregnata del tanfo acre di piscio ed escrementi di cavallo, e del sudore degli uomini impauriti.
    Eizo sentiva lo scalpiccio degli zoccoli della sua giumenta che cercava di mantenere la posizione.
    All’improvviso capì che per quanto l’animale fosse forte, era abbastanza pesante da trascinarlo con se nell’abisso.

    Afferrò le redini con entrambe le mani e provò a tirarsi su.
    Riuscì ad appoggiare la punta delle dita di una mano sul costone roccioso, ma scivolò di nuovo nel burrone e lanciò un urlo.
    Le redini si tesero di nuovo con uno schiocco.
    Rimase ancora una volta appeso nel vuoto, ma la situazione era disperata.
    La giumenta, temendo di essere trascinata nel precipizio, aveva cominciato a scuotere violentemente la testa.
    Era un animale intelligente, e cercava di liberarsi dai finimenti.
    Eizo sapeva che da un momento all’altro ci sarebbe riuscita.
    Così strinse i denti, ringhiò furiosamente e riuscì ancora una volta a issarsi sul bordo del dirupo.
    Avanzò a carponi, ansimante e fradicio di sudore.
    Abbracciò il collo dell’animale, più che altro per consolarsi e sostenere la gamba intorpidita e l’anca
    dolorante.
    Stava ancora accarezzando il muso della giumenta quando udì un fruscio di passi ed Eizo sfiorò le mani di un uomo che scivolavano sulla parete.


     
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  6. .Ryu.
     
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    «Eizo! Sei tu?» chiese Khaled nelle tenebre.

    «Khaled! Sì! Tutto bene?»

    «Certo.
    Erano due aquile giganti con in groppa dei trappolieri delle dune, cazzo.
    Volavano bassi.
    Trenta metri al massimo, amico.
    Cazzo! Che casino!»


    «Erano Alkarnani?»

    «No, non credo.
    Siamo troppo vicini al confine.
    Più facile che fossero caccia marekesi.
    Non andranno troppo lontano, sicursamente staranno chiamando i supporti.
    Sei sicuro di stare bene?»


    «Certo, certo», mentii. «Starò meglio quando usciremo da questo buio. Di’
    pure che sono un fifone, ma mi piace vedere dove metto i piedi mentre cerco di spingere un cavallo sull’orlo di un burrone alto come un palazzo di dieci piani».


    «Anche a me», disse Khaled ridendo.

    Era la solita risata piccola e triste, ma sentirla fu come un balsamo per le mie orecchie.

    «Chi c’era dietro di te?»

    «Ijai», risposi.

    «L’ho sentito imprecare in sumaedano, credo che stia bene.
    Dietro di lui c’è Yorka.
    Contando i due tizi che guidano le capre, c’erano più o meno dieci uomini alle mie spalle».


    «Vado a controllare», disse Khaled dando ad Eizo una confortante pacca su una spalla.

    «Va’ avanti.
    Tieniti attaccato alla parete per un centinaio di metri, manca poco alla fine del canalone, più in là il sentiero è illuminato dalla luna. Buona fortuna».


    Per alcuni istanti, quando raggiunse la pallida oasi del chiaro di luna, Eizo si sentì tranquillo e fiducioso.
    Poi proseguirono attacchati alla fredda pietra grigia del canyon, e dopo pochi minuti furono di nuovo nelle tenebre, e gli rimase solo fede, paura e spirito di sopravvivenza.

    Viaggiarono così spesso di notte che a volte gli sembrava che fossero un gruppo di ciechi che procedeva a tentoni verso Alkarna.






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    Viaggiarono così spesso di notte che a volte gli sembrava che fossero un gruppo di ciechi che procedeva a tentoni verso Alkarna.
    L’itinerario si teneva a mezza via fra le città e i villaggi più grandi, procedendo tra le ripide montagne, inaridite dai venti gelidi e sferzanti e le pianure verdi e lussureggianti.
    L’assalto scattò dopo che si inoltrarono in un centinaio di metri in una gola.
    Il gruppo udì un ululato terrificante dall’alto – voci di uomini che imitavano lo stridulo lamento tribale delle donne – e davanti a loro cominciarono a piovere piccoli massi.
    Eizo e i suoi compsagni si voltarono, e videro un folto gruppo di predoni appostati alle loro spalle che gli
    puntava alla schiena un bizzarro assortimento di armi.
    Erano dei semplici predoni di montagna.
    Il gruppo si fermò di scatto, appena udirono il coro di urla.

    Ibhar invece continuò a cavalcare da solo
    per quasi duecento metri.
    Poi si fermò e rimase con la schiena dritta sulla sella, lo stendardo agitato da violente folate di vento gelido.

     
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    In quel momento Eizo udì il suono: una risonanza metallica, come se qualcuno stesse percuotendo un'armatura di ferro vuota con un tubo di rame.
    Stupidamente Eizo non associò subito quel suono a un attacco, e continuò ad arrancare sul sentiero, tenendo la giumenta per le redini.

    Poi i proiettili si schiantarono sul terreno, sugli uomini, sulle pareti di roccia attorno a loro.
    Gli uomini del suo gruppo strisciarono al riparo.
    Eizo si buttò a terra, la faccia schiacciata sul sentiero, e cercò di convincersi che non stava succedendo davvero, che non aveva visto l’uomo davanti a se squarciato in due da una raffica nella schiena mentre correva a ripararsi.

    Quei predoni stavano letteralmente creando tramite qualche magia delle piccole sfere, che venivano scagliate contro di loro a velocità inaudita.

    Attorno a lui anche i suoi compagni iniziarono ad utilizzare la magia per controbattere.
    Respirando affannosamente la polvere del sentiero, paralizzato dalla paura, Eizo si ritrovò in guerra.
    Sarebbe rimasto con la faccia nella polvere e il cuore che trasmetteva le sue pulsazioni sismiche al terreno se non fosse stato per la giumenta.

    Le redini gli erano sfuggite di mano, e l’animale stava arretrando impaurito.
    Temendo che potesse calpestarlo Eizo balzò in piedi e cercò di afferrare le redini per provare a calmarla.
    L’animale che aveva sempre dimostrato un’ubbidienza esemplare, adesso si rivelava il più ribelle dell’intera colonna.
    Indietreggiò e cominciò a sgroppare.
    Cercò di trascinare Eizo con sè.
    Cominciò a scalciare e a fare scarti laterali per provare a colpirlo con gli zoccoli posteriori.
    Gli morsicò persino su un braccio, provocandogli un dolore lancinante nonostante i tre strati di vestiti.
    Eizo diede un’occhiata alla colonna, a destra e a sinistra.
    Gli uomini più vicini al valico stavano correndo per cercare di raggiungerlo, e trascinavano gli animali al riparo dietro sporgenze rocciose.
    Gli uomini immediatamente davanti e dietro di se invece avevano fatto
    stendere i cavalli a terra e si erano accucciati dietro gli animali.
    Solo la sua giumenta era ancora dritta sulle zampe e cercava di indietreggiare, completamente esposta al tiro.
    Se non sei un cavaliere esperto è dannatamente difficile convincere un cavallo a stendersi al suolo in mezzo a una battaglia.

    Gli altri cavalli nitrivano terrorizzati, aumentando il panico della giumenta. Eizo voleva salvarla, farla stendere a terra per renderla un bersaglio più
    difficile, ma avevo paura anche per se stesso. Il fuoco nemico frantumava le rocce tutto intorno, e a ogni schianto sobbalzava come un cerbiatto impaurito.

    Inoltre, lui non conosceva arti magiche.
    Era si un combattente fortissimo a mani nude e con la spada.
    Ma da quella distanza non poteva fare nulla.








     
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  8. .Ryu.
     
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    È una particolarissima sensazione aspettare di essere colpiti da un proiettile magico: l’esperienza più simile che la può descrivere è quando si precipita nel vuoto, sperando che qualche tuo compagno ti salvi grazie alla sua arte.
    La pelle ha un odore diverso.
    Gli occhi s’induriscono, come se si trasformassero di colpo in gelido metallo.

    Quando ormai aveva deciso di lasciar perdere e di abbandonare la giumenta al suo destino, l’animale piegò le zampe e si lasciò guidare a terra.
    Eizo si accovacciò dietro di lei, riparandolo dietro la groppa.
    Allungò il braccio, voleva accarezzarle la spalla per cercare di calmarla.
    La mano affondò in una ferita sanguinante.
    Alzò la testa e vide che la giumenta era stata colpita due volte.
    Una ferita era vicino alla spalla, l’altra sul ventre.
    Le piaghe sanguinavano a ogni respiro dell’animale, e il cavallo stava piangendo – è l’unico verbo che possa descrivere i suoi singhiozzi intermittenti, affannati e lamentosi.

    Eizo appoggiò la sua testa a quella della giumenta, e le abbracciò il collo.
    Gli uomini del suo gruppo stavano concentrando le loro arti su una cresta a circa centocinquanta metri di distanza.
    Con il corpo schiacciato a terra, Eizo sbirciò sopra la criniera del suo animale, e vide solo polvere e fuoco.

    "Bastaaaaaaaa!!!" urlò a squarciagola allungando una mano verso il nemico.
    In quel momento, una polvere dorata uscì dalle sue dita e si scagliò contro il nemico.

    CITAZIONE
    Skill: Golden Sand
    [Azione]
    Focus: Utilità
    L'utilizzatore utilizza il proprio chakra e lo plasma in una sottile sabbia dorata che scaglia contro un bersaglio entro i 10 metri. Applica DAZED.
    [Chakra: 10]

    All’improvviso fu tutto finito.

    Eizo udì Ibhar che urlava agli uomini di cessare l'attacco in tre lingue diverse.
    Il gruppo aspettò lunghi minuti in un silenzio rotto da gemiti, sospiri e lamenti.
    Eizo udì dei passi che fecero scricchiolare il pietrisco accanto a se, alzò gli occhi e vide Naameg che si avvicinò di corsa, con la schiena curva.

    «Tutto bene, Eizo?»

    «Sì», rispose chiedendosi per la prima volta se avessero colpito anche lui.

    Eizo si passò le mani sulle gambe e sulle braccia.

    «Sì, mi sembra di essere ancora tutto intero. Ma hanno colpito la giumenta. È…»

    «Sto contando le vittime!» lo interruppe alzando le mani per calmarlo e farlo smettere di parlare.

    «Ibhar mi ha mandato qui per vedere se stavi bene e verificare le
    nostre perdite. Torno subito. Sta qui e non ti muovere».


    «Ma il cavallo è…»

    «È spacciato!» sibilò Naameg, poi proseguì in tono più dolce.

    «Il tuo animale non ha scampo, Eizo.
    Non c’è niente da fare.
    E non è l’unico.
    Comunque devi spiegarmi cosa hai fatto prima con quella magia.
    Torno fra poco».








     
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    Naameg riprese a correre con la schiena curva, fermandosi di tanto in tanto lungo la colonna dietro di Eizo.
    Dopo circa una mezz'ora i feriti vennero issati sopra le giumenta vive e il gruppo riprese la marcia.

    La salita era ripida ma breve.
    Ansimando per l’aria rarefatta, e tremando per il freddo che penetrava nelle ossa, Eizo aiutò gli altri a spingere e trascinare gli animali riluttanti.
    Alla fine mentre affrontavano un tratto particolarmente ripido, Eizo si fermò per riprendere fiato.
    Due uomini si voltarono, e vedendo che era in difficoltà tornarono sui loro passi, rinunciando ai preziosi metri che
    avevano appena percorso.
    Gli regalarono due sorrisi radiosi, cercarono d’incoraggiarlo dandogli pacche sulle spalle, lo aiutarono a trascinare un cavallo sul ripido pendio e
    corsero via per aiutare gli uomini davanti a loro.

    «Questi Ephiorani non saranno i migliori uomini con cui vivere», commentò sbuffando
    Naameg mentre arrancava sul sentiero alle spalle di Eizo,

    «ma senza dubbio sono i migliori uomini al mondo con cui morire!»

    Dopo cinque ore di arrampicata raggiunsero la loro destinazione, una base fra le montagne del Sharafa.
    Il campo era protetto dalle incursioni cornicione di roccia, sotto il quale era stata scavata una vasta caverna, in comunicazione con una rete di grotte e gallerie.
    Un gran numero di bunker mimetizzati circondava l’apertura principale, formando un anello difensivo che arrivava fino al bordo dello scosceso altopiano roccioso.
    Alla luce della luna piena, ancora bassa all’orizzonte, Ibhar diede l’ordine di fermarsi.

    Barit, la loro guida, li aveva preceduti al campo per avvertire del loro arrivo, e i Sharafiani li stavano aspettando ansiosamente al loro e i rifornimenti che portavano.
    Un messaggero raggiunse Eizo al centro della colonna per dirgli che Ibhar gli voleva parlare.
    Eizo corse avanti per raggiungerlo.

    «Cavalcheremo fino al campo lungo questo sentiero.
    Oltre a me ci saranno Naameg, Yorka, Mahamud e pochi altri.
    Non sappiamo con certezza chi troveremo al campo.
    L’attacco al passo di Shahbad mi fa credere che Yorota Iazumi abbia ancora una volta cambiato bandiera, e si sia unito al nemico.
    È da tre anni che il valico è sotto il suo controllo.
    Qui dovremmo essere al sicuro.
    Barit dice che il campo è in mano ai nostri, e ci stanno aspettando.
    Ma si tengono al riparo, e non ci verranno incontro.
    Penso che sia più prudente che il nostro salvatore venga con noi, e stia vicino a me, in
    testa al gruppo.
    Non posso obbligarti a farlo, posso solo chiedertelo.
    Verrai con noi?»









     
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    «Sì», rispose sperando che la sua affermazione suonasse più decisa alle orecchie di
    Ibhar che non alle sue.

    «Bene.
    York e gli altri hanno preparato i cavalli.
    Partiamo immediatamente».


    York li raggiunse con i cavalli e siiissarono stancamente in sella.
    Ibhar doveva essere molto più esausto di Eizo, e con ogni probabilità afflitto da un maggior numero di
    dolori e acciacchi, eppure cavalcava con la schiena dritta, e teneva ben saldo il braccio che reggeva lo stendardo verde e bianco.
    Eizo cercò d’imitarlo, si raddrizzò sulla sella e spronò con cautela il cavallo.
    La piccola colonna cominciò a muoversi adagio.
    L’intenso chiarore argenteo della luna proiettava lunghe ombre sulle grigie pareti rocciose.
    Dal versante meridionale della montagna si accedeva al campo per uno stretto sentiero di pietra che si snodava sul pendio tracciando una curva ampia e graduale.
    Alla loro sinistra si spalancava un ripido strapiombo di una trentina di metri, che finiva in una pietraia di massi in frantumi.
    Alla loro destra incombeva una parete di roccia ripida e levigata.

    Quando si trovarono più o meno a metà del sentiero, osservati con attenzione dai loro uomini al campo, Eizo cominciò a sentire un fastidioso crampo all’anca destra.
    In poco tempo il crampo si trasformò in un dolore acuto;
    più cercava d’ignorarlo, più si faceva straziante.
    Per cercare di alleviarlo, sfilò il piede destro dalla staffa e provò a distendere la gamba.
    Bilanciando tutto il peso sulla gamba sinistra, si sollevò dalla sella.
    All’improvviso il piede sinistro scivolò fuori dalla staffa, e si accorse che rischiava di cadere nel profondo dirupo sul lato sinistro del sentiero.
    D’istinto cominciò ad agitarsi finché riuscì ad aggrapparsi con le braccia e la gamba destra al collo del cavallo.
    In un batter d’occhio si trovò appeso all’ingiù, aggrappato malamente al collo dell’animale.
    Gli urlò di fermarsi, ma il cavallo lo ignorò, continuando ad arrancare impassibile lungo lo stretto sentiero.
    Non poteva lasciare la presa.
    Il sentiero era troppo stretto e il dirupo a strapiombo, sapeva che sarebbe precipitato di sotto
    se avesse mollato il suo precario appiglio.
    Il cavallo non accennava a fermarsi.
    Perciò restò appeso con le braccia e le gambe avvolte attorno al collo dell’animale, a schiena in giù, con la testa del cavallo che dondolava dolcemente accanto alla sua.
    Le prime risate che udì furono quelle dei suoi compagni.
    Era il genere di risata inarrestabile, intermittente e soffocata che ti lascia per giorni le costole indolenzite.
    La risata che ti fa temere di morire se non ti sbrighi a riprendere fiato.
    Eizo piegò la testa e vide Ibhar girato sulla sella per guardarlo, che rideva forte come gli altri.
    Alla fine lo contagiarono, e quando a forza di ridere si sentì mancare la forza nelle braccia avvinghiate al collo dell’animale, attaccò a ridere ancora più forte.
    Quando riuscì a strillare un roco e angosciato “Ohé! Ferma! Rukò!”
    l’ilarità dei suoi compagni raggiunse l'apice.

    E fu così che fece il suo ingresso nel campo di Alkarna.
    Gli uomini accorsero intorno a se, lo staccarono dal collo del cavallo e lo sostennero quando si rialzò sulle gambe malferme.
    Poi li raggiunsero i suoi compagni, che vennero a consolarlo con una lunga serie di pacche sulla schiena e sulle spalle.
    Gli Alkarniani, vedendo quell’atmosfera informale, diedero prontamente manforte ai suoi compagni e iniziarono a loro volta in un vasto repertorio di pacche confortanti;
    ci vollero quindici minuti buoni prima che
    l’ultimo uomo si allontanasse, lasciandolo libero di riposare le gambe indolenzite.

    «Forse farti cavalcare dietro di lui non è stata la migliore idea della lunga carriera di Ibhar», commentò Naameg venendo a sedersi accanto a Eizo , con la schiena appoggiata a un masso.

    «Ma, cazzo, amico, dopo quel giochetto sei davvero popolare.
    Con ogni probabilità è la cosa più divertente che quegli uomini abbiano mai visto in vita loro».


    «Madonna!» sospirò Eizo ridacchiando.

    «Ho cavalcato per un mese intero su e giù per centinaia di montagne e ho guadato una decina di fiumi, quasi sempre in mezzo al buio
    pesto, e tutto è filato liscio. E alla fine arrivo al campo appeso al collo del cavallo come una dannata scimmia!»


    «Ti prego, abbi pietà di me!» supplicò Naameg tenendosi la pancia e ricominciando a ridere.

    Eizo non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere insieme a lui.
    Anche se era ormai rassegnato al ridicolo cercò di trattenersi, e si guardòi attorno per distrarsi.
    I loro feriti erano sdraiati al riparo di un telone mimetico.
    Gli uomini stavano scaricando i cavalli e trasportavano il materiale dentro alla caverna.

    In quel momento Eizo vide Barit che trascinava un fagotto lungo e pesante nella direzione opposta, scomparendo nell’ombra.

    «Ma che diavolo…» balbettò continuando a ridacchiare, «… che diavolo va a fare
    Barit là dietro?»


    Naameg, subito all’erta, balzò in piedi.
    Contagiato dalla sua ansia, anche Eizo di scatto.
    Corsero verso la cresta di rocce che fiancheggiava uno dei bordi dell’altipiano,
    e costeggiandola s'inbatteroni in Barit, chino sul corpo di un uomo.
    Era Liddiq.
    Mentre tutti erano indaffarati a scaricare i pacchi dagli animali, Barit aveva trascinato via l’uomo svenuto.
    Un momento prima che lo raggiunsero, Barit ficcò il suo lungo coltello nel collo dell’uomo e ruotò delicatamente il polso, come aveva fatto con il cavallo.
    Le gambe di Liddiq furono scosse da un leggero fremito, poi rimasero immobili.
    Barit estrasse il coltello e si girò a guardarli.
    L’orrore e la rabbia dipinte sui loro volti parvero alimentare la follia che divampava nei suoi occhi.
    Fece un ghigno sinistro.

    «Ibhar!» urlò Naameg pallido come le rocce illuminate dal chiaro di luna sparse attorno a noi.

    «Ibhar !!!Vieni qui!”








     
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    Narrato Pensato Parlato



    Eizo udì un urlo di risposta alle sue spalle, ma restò immobile.
    Tenev gli occhi fissi su Barit.
    Quest'ultimo si voltò a guardarlo, scavalcò il cadavere e si accovacciò come se prendesse la rincorsa per saltargli addosso.
    Aveva i lineamenti fissi in quel ghigno maniacale, ma gli occhi si facevano via via più cupi – sempre più spaventati, forse, o più scaltri.
    Girò la testa di scatto, e la tenne inclinata in modo innaturale, come se ascoltasse con intensità ferina un fioco suono nella notte.
    Eizo non udì nulla, se non i rumori del campo dietro di se e il debole gemito del vento che perlustrava crepacci, dirupi e sentieri segreti.
    All’improvviso quella terra, quelle montagne, quell’intero paese gli parvero desolati, privi di dolcezza e di amore: una fedele rappresentazione del folle paesaggio interiore di Barit.
    Eizo si sentì intrappolato nel labirinto roccioso del suo cervello allucinato.
    Barit rimase in ascolto, teso in quella postura animalesca, e distolse lo sguardo.
    Eizo ne approfittò per impugnare l'elsa di una delle sue katar.

    CITAZIONE

    Respirando forte, Eizo seguì automaticamente le istruzioni che gli aveva dato suo padre un tempo e senza rendersene conto – se non alla fine della procedura: estrasse l'arma e si mise in guardia.
    Barit udì la sequenza di scatti metallici e si girò verso di lui.
    Guardò l'arma che Eizo stringeva in mano.
    Tornò a fissarlo negli occhi, spostando lo sguardo piano piano, quasi languidamente.
    Impugnava ancora il lungo coltello.
    Eizo non sapeva che espressione potesse avere sul suo volto al chiaro di luna, ma non doveva essere rassicurante.
    Aveva deciso: se Barit si fosse mosso di un solo millimetro verso di lui, lo avrebbe ucciso.
    Il ghigno di Barit si allargò in un sorriso, o almeno in una smorfia che poteva somigliare a un sorriso.
    Mosse le labbra e la testa si spostò appena, ma non emise alcun suono.
    I suoi occhi, che ignoravano Ibhar, trasmisero il messaggio a quelli di Eizo.
    SEI MORTO









     
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    Narrato Pensato Parlato




    Un secondo dopo, Barit partì all'attacco.
    Con una rapidissima corsa, accorciò drasticamente la distanza arrivando a pochi metri da Eizo.
    In quel momento, il suo braccio avente in mano il coltello iniziò ad allungarsi e si scagliò con decisione verso la gola di Eizo.

    CITAZIONE
    Passive: Joints Liberation
    Il portatore è in grado di dislocare le proprie articolazioni oltre l'inverosimile, aumentando il raggio dei propri attacchi fisici di 5 metri.

    Eizo riuscì a schivare per pochissimo il colpo e si lanciò anche lui con un fendente che impattò solo lievemente con il busto dell'uomo.
    Delle piccole goccioline rossastre viaggiarono in aria e si frantumarono sul viso di Naameg, ancora scosso dalla situazione.
    Ibar, senza nessuna esitazione, con un balzo riuscì a raggirare e avvinghiare Eizo con sinuosità pari a quella di un serpente.
    Gli bloccò gli arti.

    Eizo chiuse gli occhi e pensò agli insegnamenti di suo padre, mentre Barit continuava a stringere la presa, facendogli fuoriuscire un rivolo di sangue.

    "Concentrati, fa fluire il chakra in tutto il tuo corpo.
    Non posso morire, non ora..."


    In quel momento, come successe nella guerriglia precedente, dal corpo di Eizo fuoriuscì una polvere dorata che si scagliò contro Barit.
    Quest'ultimo si ritrovò rapidamente catapultato in un'altra dimensione illusoria e lasciò pian piano la presa.

    "Yakir! Yakir torna da meeeee..." iniziò a urlare distaccandosi da Eizo.

    Fu un attimo.
    Bastarono due passi di distanza, che Naameg scaricò il suo moschetto contro il corpo di Barit, che cadde a terra privo di vita.
    Eizo si inginocchiò e si mise le mani sul viso.

    "Padre, ci sono riuscito... finalmente sono riuscito a controllare la tecnica che avevi tentato d'insegnarmi... pensò.

    «Cosa è successo?» chiese Ibhar.

    «Barit», rispose Naameg ancora sconvolto.

    «È impazzito… è uscito fuori di testa… ha ucciso Liddiq… l’ha trascinato qui e gli ha piantato il coltello nella gola.
    Poi ha attaccato Eizo...».


    "Capisco... allora era lui il traditore...
    Adesso non rammarichiamoci, Liddiq è con gli Dei, preghiamo per lui..."


    Quando Ibhar finì di pregare riportammo il corpo di Liddiq sotto il tendone mimetico e lo avvolsero in un telo, in attesa della cerimonia funebre che avrbbero celebrato il giorno seguente.
    Lavorarono per un altro paio d’ore poi ci sdraiarono nella caverna, uno di fianco all’altro.
    Gli uomini russavano sonoramente e si agitavano nel sonno, ma Eizo rimase sveglio per altri motivi.
    Continuava a pensare agli anni che aveva provato dominare il chakra illusorio della sua famiglia, e un pensiero fisso lo punzecchiò costantemente.
    Forse se avesse appreso prima la tecnica della sabbia dorata, forse non sarebbe accaduto quel che è successo.


    Eizo cercò di fissare le stelle lucenti e perfette nel cielo nero di quella notte fatale, ma non riusciva a concentrarsi, quel pensiero rimaneva stampato lì nella sua mente.
    La sua famiglia, la sua città...


    Fine prima parte















    Edited by .Ryu. - 22/1/2019, 12:47
     
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    CITAZIONE
    Scrittura 1: Tutto ben scritto, sarebbero stati 2 punti pieni ma te ne tolgo uno per aver preso fin troppo spunto da un testo preesistente.
    Interpretazione 1: Stesso discorso. Mi piace l'ambientazione e i personaggi, e come rendano bene per Shal'aira, ma non essendo tutto farina del tuo sacco devo penalizzarti.
    Strategia 0: Belle le scene di combattimento, ma non ho abbastanza materiale per darti di più.

    Nota: Nella role si capisce che Eizo è stato istruito dal padre per l'apprendimento delle arti illusorie e mi è piaciuto come hai spiegato il primo "vero" utilizzo da parte del personaggio. Ma mi aspetto che amplierai di più il background della faccenda nella seconda parte come promesso, altrimento revocherò il PA.
     
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