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Darius! Muoviti!
Il sole era già alto da un pezzo, ma non c'era alcuna voglia di muoversi, di alzarsi, di fare qualunque cosa.
Rimanere immobile, come un invalido, era ciò che le riusciva meglio da ormai quasi una settimana. Era una specie di costante torpore, che la faceva rimanere distesa sul letto per ore ed ore. La fame, la sete, le sentiva appena.
Provava un dolore che sembrava essere diventato fisico, come se tutti i suoi arti, il tronco e la testa fossero stati fisicamente investiti dallo shock.
Perché non se l'era aspettata, perché non aveva capito che sarebbe davvero andata così. Era stata così felice e così convinta che le cose sarebbero continuate in quel modo, senza problemi, che quella lettera l'aveva tagliata a metà.
Se la parte lucida della sua mente capiva le ragioni di quella scelta, l'altra gridava al tradimento, alla codardia, alla pochezza della persona che lei, fino a poco tempo prima, poteva immaginare per sempre al suo fianco.
Sentiva il bisogno di rimanere nel suo guscio, sola, aspettando che la guarigione facesse lentamente il suo corso.
È stata la prima cotta, una sciocchezza, passerà, ci vuole solo un po' di tempo. Ancora qualche giorno e sarà tutto passato.
Cercava di razionalizzare ciò che provava sperando di distaccarsene, ma ancora non faceva effetto. Ancora non ci riusciva. E rimanere immobile, in silenzio, in solitudine, era l'unica cosa che sembrasse darle un vago sollievo.
Non sopportava nessuno, non voleva parlare né distrarsi, perché sapeva che quel peso sarebbe rimasto lì, esattamente dov'era, e in più avrebbe dovuto cercare di mostrarsi socievole o almeno non mettersi a piangere all'improvviso.
Era molto più facile rimanere rintanata nella propria stanza con la sola compagnia di quei rumori familiari che la raggiungevano.
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