Retaggio di sangue ~ Eredità

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  1. Ashel
     
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    Si tratta di una giocata libera, autogestita, ambientata qualche tempo dopo gli eventi narrati in Neve e Sangue e prima del viaggio di Astrid a Dalereuth.
    Nel tentativo di introdurre un passaggio fondamentale nella vita del personaggio mi sono anche presa la libertà di personalizzare un'ambientazione di cui sono stati forniti alcuni spunti nel Regolamento.
    In un primo momento mi sarebbe piaciuto inserire delle immagini di alcuni personaggi cardine della scena, ma poi ho preferito lasciare ai lettori la possibilità di usare la loro immaginazione.
    Non essendoci combattimenti lo specchietto riassuntivo non è di alcuna utilità.
    Buona lettura :)



    Faceva freddo quel giorno, come sempre ormai alla roccaforte di Vaygrjord. Erano nel cuore dell'inverno e sarebbero servite almeno due lune perché il clima si mitigasse, lasciando spazio alla breve primavera dell'arcipelago e alla tiepida estate che sarebbe seguita prima di un altra, interminabile stagione fredda.
    Bjorn scrutava la strada fuori dalla finestra dei suoi appartamenti, sempre più impensierito dai recenti avvenimenti che avevano visto la sua unica figlia gettarsi a capofitto in una missione suicida, dalla quale era tornata viva per quello che lui riteneva essere un grande, irripetibile colpo di fortuna.
    Quando aveva perso i suoi tre eredi su quel maledetto campo di battaglia aveva giurato a se stesso che non avrebbe più ripetuto lo stesso errore: Astrid sarebbe rimasta al sicuro, barricata nell'antica fortezza dei loro antenati; si sarebbe sposata, avrebbe avuto dei figli, sarebbe morta da vecchia, quando ormai della vita non le sarebbe importato più nulla.
    Questo era il futuro che aveva progettato per lei: un futuro senza violenza, senza guerra, senza rimpianti.
    Ma non era facile avere a che fare con lei; sapeva che aveva lo stesso animo focoso della madre, la stessa indisposizione per l'autorità.
    Immerso in quegli e altri suoi intimi pensieri, fu interrotto all'improvviso da un inserviente che, correndo a perdifiato per il lunghissimo e buio corridoio di pietra, fece il suo ingresso nei suoi appartamenti freddi e illuminati solamente da qualche flebile candela.

    - Mio signore, vostra cognata è arrivata in città!
    Penso.. penso che voglia farvi visita!


    L'uomo si voltò, confuso. - Chi? - domandò.

    - Ymir, mio signore.
    Ymir del clan di Guðmund.


    ~

    - Non so a cosa devo la vostra peraltro sgradita visita, milady, ma mi auguro solo che non vogliate importunarmi più del necessario.

    Bjorn Erikson sapeva bene che avere una Skjöldr dentro casa poteva significare solo due cose: guai o morte. Per questo sperava che la donna se ne andasse subito senza approfittare dell'ospitalità che il suo casato riservava, da sempre, ai viaggiatori; il fatto che si trattasse della sorella di sua moglie ai suoi occhi non cambiava affatto le cose.
    Quei maledetti assassini non erano i benvenuti nel suo palazzo, per quanto gli riguardava avrebbero dovuto rimanersene nascosti nelle loro case di roccia come avevano sempre fatto, ben lontani dalla civiltà dei Vaygr. Tutto, di loro, lo disgustava: i costumi macabri, le usanze sanguinarie, l'aspetto lugubre.
    Non vedeva Ymir da molti anni; del resto avevano tagliato i ponti con quel ramo della famiglia assai prima del suo matrimonio. Calcolò che ormai dovesse avere circa dieci anni meno di lui, anche se ne dimostrava molti meno.

    - Come forse sapete sono malato e costretto nei miei appartamenti. Oggi mi vedete nel mio giorno migliore, ma non vorrei affaticarmi troppo per colpa vostra.

    - Non agitatevi, mio caro Bjorn - Fece lei, per tutta risposta - Non ci metterò molto. Sono desolata nel constatare che la mia presenza qui non vi causi alcuna gioia: sappiate, comunque, che si tratta di un sentimento reciproco.

    Alta, snella, dai muscoli tonici e dalla pelle levigata come le pietre lucenti delle spiagge oceaniche, Ymir si era presentata al suo cospetto indossando la sua armatura leggera, composta da una cotta di maglia, schiniere, gambali e un paio di morbidi stivali di pelle dall'aria vissuta.
    La sua chioma di selvaggi capelli fulvi spiccava sul suo colorito diafano, quasi impalpabile, che conferiva alla sua persona un aspetto decisamente spettrale.
    Nonostante il freddo si copriva appena con un mantello logoro e, oltre alla spada che le pendeva eloquentemente dal fianco, non sembrava portare altre armi: del resto, Bjorn sapeva bene che non ne aveva affatto bisogno.

    - Come ho promesso a mia sorella molti anni fa, e come è mio dovere in osservanza delle leggi del mio clan, non sono venuta per voi, ma per la vostra erede.

    L'uomo, a quelle parole, si sentì mancare.

    - Sapete bene quale sia il suo retaggio. Mi auguro quindi che non opporrete resistenza e che lascerete che ogni cosa segua il suo corso naturale.

    - Non dite sciocchezze! - replicò lui - E'... è la mia unica figlia...

    - Sì, bé... Avreste dovuto prendervi maggiore cura della vostra discendenza, mio caro Bjorn.
    Comunque, sapete anche voi che questa nostra conversazione, da questo momento, si è fatta del tutto superflua.
    Il mio compito era solo quello di informarvi delle circostanze.


    Detto ciò, Ymir si voltò e raggiunse l'uscita della sala a grandi falcate, incurante del cognato che, dietro di lei, si era messo improvvisamente in piedi e aveva estratto la sua spada con aria ostile.
    Ma il suo corpo gracile e malato non poté sopportare il peso dell'arma e fu così costretto ad appoggiarsi alla parete per evitare di cadere a terra.

    - Io.. io non ve lo permetterò! mormorò.

    La donna, volgendo lo sguardo verso di lui, vide solamente un vecchio inutile che non costituiva, per lei, alcuna minaccia.
    Non appena i suoi occhi gelidi si furono posati sull'uomo, questi, non riuscendo a scorgere alcuna pietà o sentimento umano in quelle vuote e lugubri cavità, ebbe un sussulto prima di abbassare la spada e riporla, assieme al suo orgoglio, nel suo pregiato fodero di cuoio.
    Sapeva che avrebbe potuto ucciderlo con facilità: si sarebbe ritrovato una lama nel cuore ancor prima che potesse accorgersene.

    - Tu... lurida puttana... Tu e tutti quelli della tua razza... Le rivolse uno sguardo colmo di disprezzo, poi si piegò su se stesso, incapace di sorreggersi - Come puoi fare questo a un vecchio?

    - Oh, non temete, Bjorn. Ci prenderemo cura di lei.
    Da oggi ritenetevi sollevato da questa responsabilità.


    C'era, nelle sue parole, una vena di sarcasmo nemmeno troppo velato che le conferiva, invero, un'aspetto ancora più crudele del necessario.
    Se ne stava in piedi di fronte a quell'omunculo senza provare la benché minima emozione, in quel suo indifferente e oltraggioso contegno che Bjorn tanto detestava e che riusciva, allo stesso tempo, a sdegnarlo e spaventarlo.
    Sentiva di essere stato truffato dalla vita, il vecchio Erikson; ma era consapevole che prima o poi quel giorno sarebbe arrivato, anche se aveva sempre fatto il possibile per tenere la sua famiglia lontana da quegli immondi e disgustosi assassini con i quali sua moglie era imparentata.
    Senza concedergli nemmeno un altro istante del suo tempo, Ymir si voltò lasciandolo solo con i suoi servi.

    Il rumore della sua armatura riecheggiò a lungo in quelle ampie stanze sempre più vuote e desolanti.

     
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  2. Ashel
     
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    Astrid non faceva che guardarla cupamente e si rifiutava di mangiare.
    Si erano fermate a una locanda poco fuori dalla città per consumare un pasto veloce prima di mettersi in viaggio e Ymir, affamata, addentava un cosciotto di cinghiale con una foga che la giovane trovava fin troppo esagerata.
    Si era presentata da lei mentre si stava allenando con il capitano Brand, l'unico tra i soldati della roccaforte che aveva opposto resistenza per proteggerla; Ymir l'aveva disarmato e quindi tramortito come se nulla fosse prima di salutare la recluta con un sorriso soddisfatto.
    Ma la giovane, dal canto suo, non era più tanto sicura di aver fatto la cosa giusta a seguirla, soprattutto perché non aveva la minima idea di cosa la aspettasse.

    - Hai detto che sei la sorella di mia madre, è così?

    - Mh-mh. Rispose lei, troppo intenta a mangiare per darle retta.

    - Quindi è vero. Era una Skjöldr.

    - Proprio così.

    Rimase di nuovo in silenzio, non sapendo cosa dire.
    Poi, pensandoci, chiese ancora:

    - Perché non sei venuta a cercare anche i miei fratelli, in passato?

    - Oh, ma sono venuti. - rispose divertita - Spontaneamente. Solo che... non si sono mai dimostrati troppo tagliati per il nostro stile di vita.

    - Che cosa significa?

    - Erano troppo fedeli al casato di tuo padre. Non sapevano adattarsi alle nostre usanze, inoltre sono sempre rimasti troppo legati alla loro vita da Vaygr.

    Astrid pensò che avrebbe dovuto provare almeno un pizzico di orgoglio a quelle parole; invece non fece che ascoltare in silenzio non sapendo bene cosa provare a riguardo.
    Tutto, in quella donna, la confondeva. Anche lei aveva deciso di seguirla di sua sponte, più o meno, anche se in effetti le intimidazioni e le minacce erano state un buon deterrente.

    - Mio padre non l'ha mai saputo. Altrimenti avrebbe...

    - Cosa? - la interruppe, fra un boccone e l'altro - Che cosa avrebbe fatto?
    Comunque lo sapeva. L'ha sempre saputo. Ma i tuoi fratelli non sono mai diventati degli Skjöldr. Non davvero. Se ne sono andati prima di affrontare la prova.


    - Quale prova?

    - Lo saprai, a tempo debito. Vedi... - si pulì la bocca con un tovagliolo, poi bevve un lungo sorso della sua birra scura - Normalmente i figli degli Skjöldr ricevono un'addestramento sin da bambini, proprio come voi. Nel tuo caso... bé... Partirai svantaggiata rispetto agli altri, vedrò di fare del mio meglio.

    - Io ho già chi mi addestra.

    - Chi? Il capitano Brand? Quel damerino?

    Ymir se ne uscì con una risata cristallina, dopodiché, visto che la sua giovane allieva aveva deciso di rimanere a digiuno, avvicinò anche il suo piatto e cominciò ad addentare la sua porzione.

    - Anche tu sei cresciuta tra i Vaygr?

    - Per poco tempo. Ragnhild invece non ha avuto la stessa fortuna. Nostra madre... aveva dei piani diversi per lei. Sposare un guerriero di alto rango... è sempre stato questo il suo principale interesse: stringere alleanze politiche.
    Comunque, mia giovane nipote, ti dirò una cosa: il casato di Bjorn è caduto in disgrazia da quando tuo padre è ritornato da solo dalla guerra. Non ci sono eredi maschi e lui è troppo vecchio per risposarsi. Sapevo che era malato, ma mi sembra messo peggio di quanto pensassi: probabilmente non vivrà ancora a lungo.


    A quelle parole, pronunciate senza un minimo di tatto né rispetto per le condizioni del padre, Astrid si infiammò.

    - Ci sono io.

    - Ma certo... - si affrettò a rispondere la donna con fare mellifluo - Solo che... Contrariamente a quanto avviene nella maggior parte dei casi, ti è stata concessa un'alternativa.

    - Scappare?

    - No. Sorrise brevemente. Entrare nel clan di tua madre.

    ~





    Gli Skjöldr vivevano per lo più in un complesso di edifici scavati nella roccia e strappati alla montagna, ai piedi della catena montuosa dell'Arcipelago.
    Un tempo nomadi, divennero stanziali relativamente tardi, quando l'Impero rivolse la sua attenzione alle terre del Nord.
    Da Ymir Astrid seppe che possedevano un ordinamento di tipo tribale basato su una rigida suddivisione in clan matrilineari, retti da un principe ereditario che essi chiamavano capoclan.
    Composti da poche centinaia di individui, consideravano se stessi i primi veri abitanti della regione, dei quali i Vaygr sarebbero stati solo dei diretti discendenti. Amavano molto contraddistinguersi dalle altre genti dell'Arcipelago, con le quali avevano da sempre intrattenuto freddi quanto incostanti rapporti militari e famigliari.
    Originariamente animisti, praticavano una forma tribale di sciamanismo basata sul culto degli antenati, della guerra e della fertilità: i tentativi di introdurre pratiche devozionali alle principali divinità Vaygr non avevano mai avuto seguito.
    Gli Skjöldr, pur credendo nella sacralità dell'ospitalità, si dimostravano piuttosto ostili nei confronti degli stranieri come degli altri popoli stanziati nell'isola, anche se più di una volta avevano dato rifugio a Vaygr, mercenari o semplici viaggiatori trovati moribondi nella grande e pericolosa Stòrfalla.
    Provavano invece, come i guerrieri delle roccaforti, un profondo risentimento per l'Impero a causa dei numerosi tentativi di civilizzazione che furono percepiti piuttosto come un vero e proprio attacco alla loro cultura e alla loro autonomia.
    Guerrieri fin dalla nascita, eccellevano principalmente nell'allevamento allo stato brado di cavalli, utilizzati per cacciare e per sopraffare i nemici in battaglia, e nella conciatura delle pelli; ma gli Skjöldr erano soprattutto sopraffini maestri della lotta corpo a corpo, che praticavano fin da bambini. Durante i lunghi e crudeli addestramenti a cui si sottoponevano nel corso della loro vita, alcuni di loro ottenevano di sviluppare la Skall'Ard, una pericolosa quanto letale abilità che permetteva di manipolare il loro stesso scheletro.
    Erano pochi gli stranieri ammessi nel loro villaggio, e ancor meno erano quelli a cui era permesso accedere ai segreti della manipolazione delle ossa.
    Astrid, nonostante il suo legame di parentela con Ymir, fu accolta a tutti gli effetti come un'estranea. Le fu assegnato un alloggio spartano e fu rimessa alla tutela e all'autorità di Ymir, che era responsabile per lei durante la sua permanenza al villaggio.
    Avrebbe dovuto presentarsi al capoclan per poter chiedere ufficialmente asilo, ma per ben tre volte non ottenne di essere ricevuta. Erano tempi bui per gli Skjöldr, sempre più impegnati a contrastare creature pericolose e affamate che discendevano con frequenza crescente dagli altipiani innevati e dai ghiacciai, come se qualcosa li spingesse ad abbandonare i loro naturali territori di caccia.
    Astrid raccontò a Ymir di quanto avvenuto qualche tempo prima durante la sua prima missione ufficiale in qualità di guerriera Vaygr, in cui assieme a Magnus e Olaf aveva affrontato un Banshee giunto a poche miglia dalla città fortificata.

    - Le voci su quel drago sono giunte anche qui. Ma finora nessuno di noi l'ha visto con i propri occhi. - rispose lei, per nulla intimorita da quella prospettiva - Una cosa è certa: Vaygrjord non è più sicura come un tempo.

    Senza lasciarle il tempo di interrogarsi sul significato di quelle parole, invitò la sua giovane allieva a seguirla nella steppa, l'immensa e innevata Stòrfalla, per iniziare il suo addestramento.
    E che cosa poteva esserci di meglio di una battuta di caccia per saggiare le abilità di una guerriera di Vaygr?


     
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  3. Ashel
     
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    Per la maggior parte del tempo Astrid non faceva che occuparsi di attività umili e a suo avviso piuttosto inutili quali conciare pelli, affilare spade, riparare l'equipaggiamento. Ymir non aveva dato alcuna informazione circa la modalità del suo addestramento e si era sempre limitata a darle degli ordini aspettandosi ch'ella li rispettasse senza replicare.
    Benché la giovane detestasse essere comandata a bacchetta aveva sempre fatto ciò che le era stato chiesto, anche se da qualche tempo aveva cominciato ad avere sempre più dubbi circa la validità di quella forma di allenamento.
    Il capoclan non si era ancora deciso a convocarla e nessuno, tra gli Skjöldr, sembrava badare troppo a lei. Non disponendo di molto tempo libero non aveva ancora avuto modo di gironzolare per il villaggio, cosicché non aveva ancora avuto l'occasione di fare conoscenza con qualcuno. D'altra parte molti tra gli abitanti si limitavano a scrutarla senza reale interesse, considerandola con disprezzo.

    ~

    L'accoglienza gelida di quella gente e il carattere assai difficile di Ymir, unitamente alle sue sempre crescenti pretese, portarono rapidamente Astrid a domandarsi se avesse fatto la scelta giusta a lasciare la roccaforte e la sua carriera tra le milizie dei Vaygr.
    A parte in qualche sparuta occasione in cui lei e Ymir erano andate a caccia nella steppa, non aveva quasi mai avuto modo di maneggiare una spada né di misurarsi con le sue abilità nel combattimento. Era chiaro che la donna non aveva alcun interesse ad addestrarla come aveva promesso.
    Ymir era giunta tra gli Skjöldr poco più che adolescente, avvicinatasi alla loro società spinta dalla curiosità e dall'ambizione.
    Contrariamente a quello che la giovane Vaygr aveva pensato, la donna partecipava ben poco alla vita del suo popolo e conduceva un'esistenza decisamente indipendente. Si limitava a recarsi ai consigli indetti dal capoclan a dare le sue opinioni con evidente distacco, riservando sempre qualche commento velenoso sulla questione del giorno per poi andarsene annoiata; seguiva le vicende del continente con un interesse relativo e anche i fatti che li riguardavano direttamente non sembravano coinvolgerla più di tanto.
    Un giorno, durante una discussione, fece intendere di aver sempre guardato alla strategia del loro capoclan con un certo sospetto, ma in generale le sue opinioni politiche restavano blande. Ed era proprio quella sua indifferenza a garantirle la piena fiducia del capoclan, che teneva in grande considerazione le sue parole: la riteneva, infatti, uno dei pochi membri del consiglio a non essere accecato dall'ambizione e dall'aggressività che erano i segni distintivi di buona parte degli Skjöldr.
    Nonostante questo, Ymir raramente sembrava preoccuparsi del prossimo in assenza di un qualche tornaconto personale. Non aveva mire politiche sul consiglio, ma non si occupava di ciò che non avrebbe potuto procurarle una qualche forma di piacere o perlomeno risultare utile nel tempo.
    La sua appartenenza al consiglio del capoclan, anziché onorarla, le procurava per questa ragione una discreta dose di fastidi, dal momento che il suo compito si estendeva ben oltre il sostenere il suo capo nelle difficili decisioni di governo.
    Ymir faceva parte, assieme ad un'altra manciata di guerrieri, di un corpo speciale elitario di assassini e tutori dell'ordine pronti ad eseguire la volontà del capoclan quando ogni altra opzione era esaurita. In passato raramente gli Skjöldr si erano avventurati al di fuori dei confini del loro arcipelago, ma capitava ormai sempre più spesso che uno di loro venisse mandato nel continente a indagare sulle politiche dell'Impero o sui recenti fatti internazionali. Il capoclan era infatti convinto che prima o poi i popoli di Vaygrjord si sarebbero uniti nella lotta agli imperiali, pertanto gli Skjöldr dovevano tenersi pronti a prendere il comando della ribellione.

    ~

    - Non sono venuta qui per essere trattata alla stregua di una serva.

    Astrid, ormai esasperata da quella situazione, per la prima volta dopo settimane si rivolse a Ymir in maniera decisamente inopportuna, rifiutandosi di obbedire ai suoi ordini.
    Dal canto suo la donna non diede segno di averla sentita e continuò a ignorarla.

    - Non state facendo nulla per tenere fede alla vostra promessa: sarebbe indegno tollerare ancora questo affronto. Io sono una Vaygr, figlia di Bjorn Erik-

    - Sei solo una ragazzetta molto stupida. - replicò lei, china su un tavolino di legno grezzo - Non crederai che qualche lezione di scherma e di combattimento corpo a corpo basti a fare di te una guerriera.

    Era vero, Astrid si era allenata da sola da quando i suoi fratelli erano morti e nonostante le cure del capitano Brand non aveva fatto molto miglioramenti.
    La sua educazione militare era stata da sempre più blanda e permissiva rispetto alla maggior parte dei guerrieri di Vaygr, e questo perché non era stata destinata alla guerra come invece avrebbe voluto. Saper maneggiare un'arma per difendere se stessi e la propria progenie, oltre che dimostrare di saper sopravvivere nella grande Stòrfalla durante una battuta di caccia in solitaria, erano qualità richieste a una donna che volesse essere anche una buona moglie per un guerriero di alto rango; ma questo non bastava a renderla degna di portare una spada come avevano fatto i suoi antenati.

    - Sono venuta qui perché pensavo che sareste stata voi a istruirmi.
    Invece non fate altro che prendervi gioco di me.


    Ymir si lasciò andare ad un lungo e stanco sospiro, come se quella situazione, anziché spaventarla, la stesse semplicemente annoiando.

    - La vita tra i Vaygr deve averti confuso le idee, mia cara. - le disse, avvicinandosi - Non basta avere una spada e saperla usare per potersi fregiare del titolo di guerriero. Di quelli è pieno l'arcipelago, uomini che si vantano della loro discendenza aristocratica ma che verrebbero sconfitti con facilità da qualsiasi damerino del continente e, anziché porre rimedio alla loro indolenza, non fanno che annegare questa consapevolezza nella birra e nel liquore di noci.
    Tra gli Skjöldr non esiste una simile permissività.
    - aggiunse allora - Pigrizia e debolezza hanno una sola conseguenza: la morte. La Stòrfalla non è altrettanto benevola, qui sull'altipiano. Bestie di ogni razza e dimensione scendono dalle montagne ogni giorno per cacciare e in assenza di alternative siamo noi le loro prede preferite.

    La fissò con uno sguardo che avrebbe fatto raggelare anche il più imperturbabile dei guerrieri e Astrid, atterrita da quella nuova forma di soggezione, per poco non rabbrividì.

    - Se vuoi guadagnarti il rispetto dei tuoi simili dovrai provare di essere ben altro dei tuoi vecchi compagni di merende delle roccaforti.

    La ragazza rimase in silenzio per qualche secondo, abbassando lo sguardo.
    Nonostante in cuor suo condividesse l'opinione che Ymir aveva dei Vaygr sopravvissuti alla guerra il suo orgoglio le impediva di accettare un simile giudizio; sua madre era stata una Skjöldr prima di lasciare il suo clan, ma suo padre era un Vaygr purosangue che poteva vantare una schiera di antenati di alto lignaggio, una discendenza che non tutti, nell'arcipelago, potevano fregiarsi di possedere.
    Nell'ampia sala di rappresentanza nel suo castello, ormai vuoto e desolante, i suoi avi avevano fatto scolpire in una gigantesca lastra di pietra l'albero genealogico del loro casato. Molte volte Astrid si era persa ad osservare i loro nomi, a domandarsi quali grandi imprese avessero compiuto nel corso della loro vita, che cosa li aveva resi degni a tal punto da non sfigurare gli uni di fianco agli altri.
    Era cresciuta nel ricordo e nel rispetto del loro rango. Come poteva, di punto in bianco, dimenticarsi di una simile eredità?

    - Non ti chiedo di rinnegare il tuo passato, la tua vita, la tua educazione. - riprese la donna, quasi indovinando i pensieri che affliggevano la sua giovane protetta - Ma di lasciarle da parte fintanto che rimarrai qui.
    Non fraintendere: la porta del villaggio degli Skjöldr è quasi sempre aperta, sia all'entrata che all'uscita. Se lo desideri potrai andartene come hanno fatto i tuoi fratelli prima di te, nessuno te lo impedirà.
    Ma se invece deciderai di restare dovrai dimenticarti dei tuoi titoli onorifici, del tuo rango nobiliare e di tutto ciò che hai imparato su te stessa in questi anni.
    Qui non sei niente. Non ancora.


    I suoi occhi si strinsero su di lei, trafiggendola.

    - Fintantoché non sarai in grado di padroneggiare la Skall'Ard sarai soltanto un membro qualsiasi del clan. Una guerriera priva di dignità e di onore. Un'altra tra i tanti che non hanno sviluppato questa abilità.
    E poiché non sei nata tra noi ma tra le mura della cittadella sarai trattata alla stregua di un'estranea e potrai soltanto sperare di trovare qualcuno che non ti consideri con maggiore disprezzo di quanto ti sarebbe dovuto.


    Tacque all'improvviso, lasciando che le sue parole venissero assorbite a dovere dalla giovane Vaygr, che nel frattempo si stava chiedendo se anche Ymir avesse subito quello stesso trattamento una volta arrivata tra gli Skjöldr.

    - Farò del mio meglio con te. Ma tu dovrai mettere da parte il tuo orgoglio e accettare il tuo retaggio.
    Abbasserai il capo quando incrocerai gli altri membri della tribù e ti rivolgerai a loro con reverenza. Accetterai di buon grado qualsiasi insulto ti sarà rivolto e rimarrai al tuo posto fintantoché non ti verrà chiesto di esprimere la tua opinione. Non ti ribellerai alla mia autorità o a quella del capoclan e soprattutto
    - aggiunse allora - ti leverai quella smorfia di disgusto dalla faccia se non vuoi ritrovarti la testa per terra.

    Si avvicinò lentamente alla sua giovane ospite, osservandola con uno sguardo gelido; poi mise entrambe le mani sulle sue spalle, ma fu un gesto eseguito con una tale freddezza da costringere Astrid a deglutire spaventata.

    - Fino a quando non farò di te una Skjöldr capace di uccidere con un solo pezzo del suo scheletro. - concluse infine. Uno strano bagliore dardeggiò allora nei suoi profondi occhi di pietra.

    La Vaygr rabbrividì. Solo in quel momento aveva capito per quale ragione suo padre avesse sempre nutrito un profondo timore per il lato materno della famiglia; i Vaygr erano guerrieri brutali e dalle usanze sanguinarie, ma il popolo Skjöldr andava ben oltre la definizione di 'crudeltà'.

    - E voi? - chiese allora la giovane, facendosi coraggio - Voi che cosa ci guadagnerete?

    Ymir allontanò le mani da lei, rivolgendole un sorriso beffardo.

    - Un'erede. - le rispose infine dopo qualche secondo di silenzio.

    Quella risposta, giunta tanto inaspettata, lasciò la ragazza decisamente interdetta.
    Ci volle un po' perché fosse in grado di riprendersi da quella rivelazione: abbassò lo sguardo confusa, mentre una moltitudine di pensieri si affacciavano alla sua coscienza impedendole di ragionare lucidamente.
    Non ci fu il tempo, però, di approfondire la questione perché Ymir, dopo essersi voltata di scatto, tornò alle sue occupazioni senza dare alcuna spiegazione.
    Il segno che quella conversazione era terminata.



     
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  4. Ashel
     
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    Come accadeva in molte comunità guerriere, anche tra gli Skjöldr era usanza tramandare il proprio nome e il proprio rango alla progenie.
    Maschi e femmine ricevevano un'educazione pressoché identica ed esistevano poche differenze di rango tra i membri adulti delle varie famiglie, che venivano rappresentate in egual modo nel consiglio del capoclan dal loro portavoce più anziano.
    Esistevano anche famiglie dedite da generazioni all'allevamento di cavalli o alla conciatura di pelli e i loro discendenti, se incapaci di sviluppare la Skall'ard, venivano avviati a quel tipo di tradizioni artigianali ed erano tenuti in gran considerazione dalla comunità.
    Tutti gli altri ricevevano un duro addestramento e se trovati inadatti alla vita guerriera, oppure indegni di manipolare il loro scheletro, regredivano al ruolo di semplici servitori, a prescindere dalla loro provenienza o dal loro clan. Erano quelli che Astrid vedeva ogni giorno mentre svolgeva le incombenze per Ymir, persone di ogni età escluse di fatto dalla vita comune e impossibilitati ad accampare alcuna pretesa ereditaria.
    Nel migliore dei casi era concesso loro di servire in qualità di scudieri o aiutanti; gli altri erano semplici inservienti ai quali era però garantita un'esistenza più che dignitosa all'ombra del loro capoclan.
    Le unioni famigliari erano quasi sempre libere e di fatto il matrimonio era consentito sia tra parenti stretti che con Vaygr o continentali, ma non era considerato necessario al fine di generare degli eredi.
    I discendenti rappresentavano tutta la ricchezza che una famiglia aspirava a possedere, nonché il fulcro di tutte le aspettative del clan.
    A quanto ne sapeva Astrid, sua zia non si era mai sposata né aveva avuto dei figli. Conduceva un'esistenza alquanto solitaria e non aveva mai incontrato nessuno con cui avesse un legame affettivo di qualche genere.
    Per questa ragione benché comprendesse, da Vaygr di un nobile casato, il desiderio di trasmettere il proprio nome a qualcuno, Astrid non era certa di aver capito a fondo le ragioni della sua presenza tra gli Skjöldr. Era la sua parente più prossima, in assenza dei suoi tre fratelli giunti anch'essi, a quanto le aveva detto Ymir, al villaggio tempo addietro, ed era anche di fatto l'unica sopravvissuta di quel ramo della famiglia; ma che sua zia volesse fare di lei la sua erede rimaneva un fatto che continuava a sorprenderla.
    Nel frattempo Ymir era stata chiamata dal capoclan e inviata per suo conto nel continente. Non disse niente alla sua giovane nipote circa le finalità di quel viaggio e mancò da casa per una decina di giorni, che Astrid impiegò per svolgere le solite mansioni e allenarsi nell'uso della spada.
    Quando fece ritorno era passato molto tempo dalla loro ultima conversazione ma la donna non diede segno di voler approfondire la questione in alcun modo.
    Dal canto suo Astrid non era certa di apprezzare i suoi progetti. Aveva già una famiglia, un rango nobiliare e un ruolo tra la sua gente. Non era in cerca di un posto nel mondo, o almeno era quello che aveva sempre creduto.
    Ma allora perché l'aveva seguita al villaggio? Che cosa aveva pensato di trovare laggiù?
    Forse le risposte a quelle domande che nemmeno lei stessa avrebbe coscientemente ammesso di porsi; forse un'alternativa a un cammino già segnato molto prima che lei nascesse.

    - Ho chiesto il benestare del capoclan. - le disse un giorno la donna, mentre consumavano un pasto piuttosto spartano a base di cereali e grasso di renna - Riguardo alla tua adozione.

    Astrid sentì che qualcosa le stava andando di traverso.
    Quella parola assunse improvvisamente la forma di una bestemmia che non avrebbe mai voluto udire in circostanze come quelle.

    - Non ha sollevato obiezioni, purché mi occupi personalmente della tua educazione. - continuò lei, del tutto indifferente alla reazione della nipote - Ora resta solo da capire quale sarà la tua decisione.

    Si scambiarono uno sguardo intenso, ma nessuna delle due proseguì quella conversazione, preferendo un lungo silenzio carico di aspettative e domande.

    ~

    - Perché volete fare di me vostra figlia? - le chiese un giorno Astrid mentre stavano uscendo a caccia, approfittando di una timida giornata di sole. - Gli Skjöldr non sono affatto legati alla discendenza di sangue. Potreste adottare chiunque, un orfano o un membro di un altro clan.

    Ymir non la guardò neppure, si limitò a scrutare l'orizzonte davanti a lei mentre stringeva le briglie del cavallo con indifferenza.

    - Non darti tante arie. - le rispose infine - E non farti strane idee. Per il momento sei solo una sciocca ragazzetta senza alcuna importanza.
    Però
    - riprese subito - tu sei la figlia di mia sorella. La Skall'ard ha benedetto per generazioni la discendenza femminile del nostro clan. Sia tua nonna che tua madre maneggiavano i suoi segreti in modo impareggiabile.
    La decisione di dare Ragnhild in sposa a un Vaygr è stata disastrosa. La stessa sorte sarebbe toccata a me se non fossi tornata al villaggio: per anni abbiamo atteso che giungesse finalmente una figlia femmina in grado di ereditare il suo stesso potere, e alla fine sei nata tu.


    Si voltò allora a scrutare intensamente la sua giovane protetta.

    - Ma tuo padre, da sciocco Vaygr qual era, si è sempre rifiutato di mandarti qui. Ha inviato i tuoi fratelli per proteggerti dalle mie mire, ma nessuno di loro, come previsto, si è dimostrato all'altezza.

    - Mio padre ha...?

    - Tu padre è uno stolto, ma ti ama molto. Questo glielo concedo.
    Purtroppo però l'amore dei genitori si trasforma presto in egoismo quando fanno tutto il possibile per impedire al destino di portare a compimento i suoi progetti.


    Non c'era dolcezza nelle sue parole, né comprensione o rispetto.
    Erano solo mere constatazioni che non le procuravano alcuna reazione, se non disprezzo e compatimento.

    - Capisci ora perché non desidero affatto adottare un orfano qualsiasi?
    Il tuo retaggio è troppo prezioso per essere sprecato come quello di Ragnhild.


    - Non c'è altro allora. Solo questa presunta abilità che dovrei essere in grado di possedere.

    Ymir la guardò sollevando un sopracciglio e le rivolse un sorriso beffardo.

    - Sì, so di non non essere all'altezza delle tue aspettative. Forse credevi che ci fosse qualche altra ragione, oltre a questa. Che facessi dei lunghi discorsi sulla nostra parentela e sulla madre che non hai mai avuto perché morta quando eri ancora in fasce; che mi facessi prendere dai sentimentalismi e dai ricordi di una famiglia andata in pezzi.

    Continuò a sorriderle sprezzante e Astrid ebbe la conferma di quanto sua zia potesse essere crudele.

    - Si tratta solamente di fare un patto. Se farai come ti dico diventerai la mia figlia adottiva ed entrerai a far parte del mio clan. In cambio io farò di te una guerriera, una donna a cui tutti porteranno rispetto e che dovranno temere.
    Troverai finalmente il tuo posto in questo mondo e ti lascerai alle spalle l'educazione sessista di quegli zotici nelle loro roccaforti.
    La scelta è tua. Se deciderai di non restare, puoi prendere le tue cose e tornartene alla cittadella: io non ti fermerò.


    Il cielo si era rapidamente annuvolato e la timida giornata primaverile che avevano pregustato quel mattino stava scomparendo dietro una spessa coltre di nubi. Avrebbero dovuto sbrigarsi se volevano tornare a casa con qualche preda prima che cominciasse a piovere.
    Astrid non sapeva bene cosa rispondere. Una parte di lei continuava a rimanere legata a suo padre e alla sua vita tra i Vaygr ma c'erano anche molte cose di quel mondo che non aveva mai saputo sopportare.
    La sua frustrazione, la sua insoddisfazione nei confronti di un ruolo a cui provava sempre più protervamente ad avvicinarsi ma che continuava a sfuggirle nonostante i suoi sforzi, la consapevolezza che forse il suo destino non era laggiù, in quelle tristi e desolanti roccaforti di una civiltà ormai dimenticata.
    D'altra parte Ymir non sembrava attendere una risposta immediata, perché cominciò a scrutare il terreno alla ricerca di qualche traccia che potesse condurle da quelle renne che avevano visto il giorno precedente.

    - Per di qua. Dovremmo trovarle oltre quelle rocce. - le disse all'improvviso, aspettandosi di essere seguita.

    - Perché non avete avuto figli?

    Quella domanda doveva averla colta decisamente impreparata perché si voltò di scatto, rivolgendole un'occhiata che avrebbe dovuto trafiggerla da parte a parte.
    La ragazza sostenne il suo sguardo e temette seriamente, per un istante, di venire aggredita per aver osato tanto.
    La donna si limitò invece a guardare da un'altra parte, con aria afflitta e vagamente cogitabonda. Sembrava osservare il nulla che si stendeva di fronte a loro senza però vederlo davvero, come se la sua mente fosse altrove, intenta a riesumare vecchi ricordi.

    - Non posso averne. - rispose allora a mezza voce.

    Impartì un ordine al cavallo e fece schioccare le briglie, lanciando la bestia in una corsa selvaggia oltre i cespugli di rovi ormai rinsecchiti, senza aspettare che la nipote la raggiungesse.

     
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  5. Ashel
     
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    Nonostante l'età avanzata Kalijan era un uomo ancora dotato di una straordinaria bellezza. Le rughe e i segni della vecchiaia oscuravano appena i suoi lineamenti nobili e tutto, nel suo viso, sarebbe apparso piacevole se non fosse stato per la profonda cicatrice che gli divideva il sopracciglio destro a metà, omaggio di una sanguinosa battaglia contro un drappello di soldati arcadiani.
    Sotto gli spessi strati di pelliccia d'orso era possibile immaginare un corpo scolpito e temprato da anni di duro addestramento, decorato da tatuaggi fitomorfi propri della tradizione Skjöldr che risalivano lungo il collo e giungevano fino ai polsi.
    I lunghi capelli color ebano venivano tenuti in una treccia che il capoclan aveva tagliato, secondo tradizione, in seguito alla sua ultima sconfitta: quella contro gli imperiali.
    Non doveva avere più di cinquant'anni, ma ne dimostrava molti meno. Astrid rimase sconcertata nel vedere un uomo tanto bello quanto potente sedere sul maestoso e lugubre trono d'ossa del suo palazzo, anch'esso scavato, come tutti gli altri edifici, nelle cavità della montagna.
    Alcune torce illuminavano tetramente la gigantesca sala in cui Kalijan usava conferire con i suoi sottoposti; come buona parte delle abitazioni Skjöldr era quasi completamente spoglia, ad eccezione di qualche pelliccia appesa alle pareti e una serie di teschi forse appartenuti agli avversari più forti che aveva sconfitto negli anni.
    Quel che sapeva di lui Astrid l'aveva appreso dalla sua protettrice. Dotato di straordinaria calma, non era altrettanto tollerante nei confronti del prossimo, specie se si trattava di estranei o di membri sprovvisti di un rango guerriero.
    Il sangue del suo clan affiorava vivacemente nei momenti in cui, preso da una rabbia improvvisa, si ritrovava in grado di distruggere qualsiasi cosa gli fosse capitata a tiro, fossero oggetti o persone. Molti avevano perso la vita in quel modo e Astrid non intendeva certo fare quella stessa fine.
    Avendo preso il controllo del clan dopo che il padre ebbe abdicato a causa della sua età avanzata, governò la tribù degli Skjöldr con un pugno di ferro seguendo una politica di apertura nei confronti del mondo esterno.
    A differenza del padre coltivava infatti legami di amicizia e collaborazione con molti dei casati Vaygr all'insegna della causa antimperiale. Molti tra i membri del villaggio non apprezzavano affatto quel nuovo stato di cose, avendo sempre guardato con estremo sospetto agli altri popoli dell'arcipelago e considerandoli nel migliore dei casi nient'altro che lontani parenti con i quali intrattenere tutt'al più relazioni di buon vicinato.
    Kalijan vestiva sempre piuttosto sobriamente e non eccelleva mai nell'alcol né nel cibo, evitando di fatto ogni genere di lusso e di eccesso in ogni aspetto del suo stile di vita.
    Ma dietro quella corazza di saggezza e impenetrabilità si celava, in verità, un capo afflitto da un'inguaribile brama di potere. Correva voce ch'egli avesse non solo ucciso la sorella per garantire la stabilità della sua posizione, ma anche fatto sparire opportunamente alcuni membri del consiglio di cui temeva i piani sovversivi.
    Integerrimo e ambizioso, da qualche anno era perseguitato da manie di persecuzione e temeva continuamente per la sua vita; sempre più spesso guardava ai suoi sottoposti con estrema circospezione ed era terrorizzato all'idea di vedere realizzate congiure contro la sua persona.
    A dispetto delle apparenze, comunque, Kalijan era un abile stratega e riusciva a muoversi con straordinaria malizia tra i complotti che agitavano continuamente la vita dei clan Skjöldr e per questa ragione sceglieva sempre con molta attenzione i suoi consiglieri.
    Lo status di Ymir le consentì in effetti di ottenere udienza presso di lui in qualità di membro speciale del suo consiglio; egli sembrava tenerla in gran considerazione, soprattutto perché sempre pronta a rischiare la vita per lui in pericolosissimi e potenzialmente mortali viaggi nel continente.

    - Vedo che alla fine hai deciso di restare. Ne sono lieto, anche se in verità mi sarei aspettato il contrario - esordì lui, dopo che Astrid si fu prostrata a qualche metro dal trono - I tuoi fratelli non sono stati così coraggiosi.
    Ymir mi ha parlato molto di te, soprattutto del tuo brutto carattere. Mi auguro che farai molta attenzione a non causare guai nella nostra comunità.


    - Non accadrà, mio signore - gli rispose lei, a testa bassa. - Vi ringrazio per la vostra benevolenza.

    - Non si tratta di benevolenza. Ho semplicemente risposto a una richiesta esplicita della mia consigliera.
    Ymir, le procedure per l'adozione sono già state avviate.


    - Grazie, mio signore.

    C'era in lui una tale freddezza da far impallidire la proverbiale impassibilità di Ymir.
    Non disse nient'altro, si limitò a scrutare la ragazza annoiato, per nulla interessato dalla sua presenza.
    D'altra parte era stata avvisata: nelle sue attuali condizioni non era altro che una ragazzina insignificante, capace di ottenere la medesima attenzione di un insetto o di un verme pronto ad essere calpestato.

    - Auspico che dimenticherai in fretta le usanze della tua gente abituandoti alle nostre. - riprese allora l'uomo, fissandola con insistenza. - In previsione di ciò che ti attende, non ti sarà concesso di utilizzare il tuo nome, che rispecchia la tua vecchia vita da Vaygr.

    Nessuna sorpresa per Astrid: sua zia l'aveva informata anche di questo.
    Quella tradizione tanto in voga presso gli Skjöldr non aveva altra funzione che disorientarla, intimorirla e farla sentire inutile e stupida.

    - Ne sono al corrente, mio signore.

    Non osò dire altro. Sapeva che ribattere o ribellarsi avrebbe avuto il solo scopo di farla ammazzare.

    - Molto bene.
    Per quanto io non abbia mai approvato questa tua decisione,
    - riprese verso Ymir - speravo almeno che vedendo la ragazza avrei potuto cambiare idea. Non so cosa ci trovi di tanto interessante in una come lei. Puzza di pelliccia e di birra annacquata come buona parte dei suoi simili.
    Comunque, una volta sbrigate le ultime formalità sarà considerata tua figlia a tutti gli effetti.


    La Skjöldr sostenne il suo sguardo e si inchinò brevemente in segno di reverenza. Nemmeno lei sembrava particolarmente interessata a quella conversazione, dando al contrario l'impressione di volerla concludere il prima possibile.
    Astrid, dal canto suo, era rimasta a capo chino per tutto il tempo.
    C'erano troppe cose che continuavano a sfuggirle.
    Anche se era ancora piuttosto giovane poteva capire il desiderio di Ymir di avere dei figli: molte tra le sue coetanee avevano già preso marito e non era affatto strano che una ragazza della sua età avesse una famiglia.
    Ma si trattava davvero soltanto di questo? Per quanto provasse a immedesimarsi nella donna che l'aveva cercata per fare di lei una figlia e un'erede, e nonostante tutta la solidarietà femminile che era in grado di provare, non riusciva in alcun modo a capacitarsi di quel gesto nei suoi confronti.
    Avevano fatto un patto, era vero: quello che poteva definirsi uno scambio equo.
    Eppure qualcosa continuava a tormentarla fin da quando avevano avuto quella conversazione nella steppa. Forse era perché nei suoi occhi non ritrovava alcuna traccia di calore umano o di qualsiasi altro sentimento che avrebbe voluto ricevere da una madre.
    Tuttavia Astrid si trovava in quel momento della sua vita in cui, da figlia, odiava suo padre per ciò che rappresentava e non riusciva a distinguere, in tutto quel risentimento, l'affetto che ancora, da qualche parte dentro di lei, avrebbe dovuto provare per lui.
    Odiava la sua famiglia, soprattutto sua madre che, ne era certa, non l'aveva mai amata perché costretta all'infelicità di una vita rinchiusa in un palazzo vuoto; odiava i suoi simili, troppo inetti e indolenti per costituire per lei motivo di stimolo; odiava Vaygrjord e la sua deprimente cittadella, le sue strade deserte, il suo silenzio opprimente.
    Ma prima di tutto odiava se stessa e questo bastava a riempire il suo cuore di rancore e insoddisfazione per tutto ciò che nella sua vita non funzionava come avrebbe voluto.
    Erano lagnanze proprie di un'adolescente, non certo di un'adulto. Per quanto ci tenesse ad essere trattata come una donna e non più come una ragazzina Astrid spesso preferiva lamentarsi per ciò che non aveva e che non avrebbe mai avuto, addossando le colpe di quei fallimenti sugli altri piuttosto che su se stessa e dimenticando, alla fine, quanto spesso la vita seguisse un andamento che gli esseri umani non potevano sempre sperare di controllare.
    La vita le aveva dato tanto, era vero; ma, benché ancora molto giovane, le aveva tolto altrettanto: il calore di una madre, la protezione dei suoi fratelli, la sicurezza di un futuro radioso; e ciò che era stato tolto non le sarebbe stato più restituito: era quella consapevolezza, più di ogni altra cosa, ad atterrirla senza rimedio.
    Perciò Astrid aveva deciso di restare tra gli Skjöldr, rinnegando il casato di suo padre e accettando di buon grado di percorrere una strada lastricata di tante buone intenzioni, ma la cui destinazione rimaneva, in ultima analisi, completamente incerta.
    Tutto ciò che fosse stato estraneo alla sua vecchia vita le appariva più bello e più accettabile, persino la prospettiva di essere degradata al rango di una serva fintantoché non fosse stata in grado di guadagnarsi il rispetto dei suoi simili percorrendo un sentiero di morte e crudeltà.
    Avrebbe raccolto l'eredità di sua madre, avrebbe accolto il suo destino scritto nel sangue della sua famiglia.
    Avrebbe fatto ciò che per cui era nata.

    - Vattene, ora. Sei congedata. - disse alla giovane con noncuranza.

    Astrid annuì e indietreggiò in silenzio dopo un breve inchino. Quel gesto le costò molto, perché non era ancora pronta ad essere trattata nel modo in cui si era sempre comportata con i suoi servi.
    Comunque, avrebbe dovuto farci presto l'abitudine.
    Ymir restò nella sala per discorrere con il capoclan di alcune questioni riservate e dal momento che la presenza della giovane non era né gradita né richiesta se ne andò da sola, mentre persino gli inservienti osavano fissarla con disprezzo, con la stessa considerazione che avrebbero riservato a un cane randagio.


     
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    Sono rimasto molto soddisfatto della ruolata. Il testo è scorrevole, il susseguirsi degli eventi è accattivante e presentato in maniera tale da tenere desto l'interesse e invogliare alla lettura. La tematica è originale, i personaggi credibili e affascinanti, e meriti un elogio sia per aver approfondito l'ambientazione solo accennata degli Skjorld in un prolifico racconto pieno di dettagli e descrizioni che, straordinariamente, è perfettamente in linea con il flavour da noi voluto. Davvero un ottimo lavoro, adesso non vedo l'ora di leggere ancora circa Astrid e la sua sorte.

    CITAZIONE
    Scrittura 2 - Perfetta.
    Interpretazione 2 - Introspezione profonda e ben descritta. E' possibile inquadrare Astrid in ogni suo aspetto facendola sembrare una persona vera.

    Bonus
    Originalità +1 - Per aver "creato" l'universo Skjorld partendo dalle basi da noi fornite, per i personaggi descritti con la stessa cura riservata alla protagonista, per le tematiche mature trattate al di là del solito picchia picchia.
    Impegno +1 - Non ci sono errori nei post, segno che ti sei impegnata a rileggerli per produrre materiale corretto sotto tutti i punti di vista. Anche il modo in cui hai formulato l'intreccio indica impegno e ispirazione. Ottimo.

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