Eas Setsuna

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    pg di Ð. × Ace

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    Nome: Eas Setsuna
    Luogo di Nascita: Arcadia
    Età: 29


    Descrizione Fisica - Descrizione Psicologica - Background


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    Alta a malapena 1.70m e pesante circa cinquanta chili Eas. Occhi rossi, capelli bianchi lunghi fino alle spalle, terza abbondante di petto e fisico relativamente snello preferisce quasi sempre indossare degli abiti scollati, dalle maniche corte, che le stanno particolarmente stretti adornati da una specie di mantellina grigia che scende dalla vita in giù. Immancabili i guanti dello stesso colore così come le lunghe, lunghissime calze attorno alle quali sono arrotolati due nastri che culminano con degli enormi fiocchi rossi. Nastri rossi che a volte sono presenti sugli avambracci, altre volte vi sono dei legacci in pelle nera che si allacciano ad una pietra di color rosa. Adora qualsiasi cosa elegante e cura un'estrema attenzione per il proprio corpo quasi spasmodica, sapendo che senza quello si troverebbe in tantissimi guai: in particolare passa moltissimo tempo ad ordinarsi i capelli cercando sempre l'acconciatura migliore.
    Ad altezza del polmone sinistro ha una cicatrice che si preoccupa di tenere ben nascosta, una cicatrice vecchia circa dieci anni e che psicologicamente le fa ancora tanto male.
    Dal punto di vista dell'aspetto fisico non c'è niente di più da sapere. Dello psicologico...basta andare più avanti.

















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    Eas è sempre, sempre stata una ragazza estremamente viziata e con un carattere incredibilmente difficile da gestire sin dalla giovane età dove ha sempre pensato a sé stessa e poco agli altri, puntando tanto, davvero tanto sul proprio aspetto fisico che ha fatto in modo di curare il più possibile per avere un'arma in più. Lo ha sempre usato per manipolare un po' le persone e comportarsi spesso e volentieri in maniera lasciva ed estremamente falsa: probabilmente prima che sparisse, accanto alla definizione 'lacrime di coccodrillo' poteva trovarsi una sua foto. Ha sempre preferito anteporre il proprio tornaconto a quello degli altri e tutte le operazioni fatte in passato sono sempre state per raggiungere un determinato livello di auto-celebrazione e per sentirsi dire 'brava'. Nemmeno quando le è capitato di uccidere il proprio fratello è cambiata, al contrario ha solo aumentato la sua spocchia prendendosi il merito di riuscire a mantenere una certa compostezza nonostante l'ordine fosse arrivato dal sangue del suo sangue. In fondo chi non le voleva bene, ai suoi occhi, non era meritevole delle sue attenzioni.
    Dopo aver seriamente rischiato la vita ed essere sopravvissuta per miracolo però oltre a scoprire un sacco di limiti ed una strana determinazione che ha sicuramente perso con il tempo, ha sviluppato un elevatissimo senso della paura per il quale non prova minimamente vergogna dato che si tratta di ciò che le ha permesso di sopravvivere nel periodo più intenso della guerra e che l'ha fatta allontanare dalla città. Non ha rimpianto molto il fatto di esser sola, anzi quando ha avuto modo ha fatto di tutto per assicurarsi il proprio angolo sicuro e così è stato in tempo molto breve. Ora è sicuramente meno avventata del passato e prima di fare qualcosa tende a pensarci spesso, ma non ha perso confidenza nelle proprie capacità e nei propri mezzi. Non si è mai pentita di aver tagliato i ponti con la sua famiglia considerata la scarsa opinione che avevano di lei come non si è mai pentita di aver usato i loro soldi per garantirsi una discreta vita fuori pericolo per gli scorsi dieci anni, nonostante tutto rimarrebbe molto male se scoprisse che hanno fatto una brutta fine.

















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    Lumi di candela, un'atmosfera calda ed accogliente. Un uomo che si tira a sedere su un letto scostando un elegante lenzuolo rosso di lino, guardando alla sua sinistra dopo essersi passato una mano tra i capelli e sorride appena, prendendo un profondo respiro.
    "Ripetimi dove sei stata per tutto questo tempo."
    Una ragazza sta sdraiata prona - e svestita - al suo fianco con le gambe incrociate e penzolanti in aria,
    volto appoggiato su un palmo ed un'aria più o meno contenta; si ravviva una ciocca di capelli sul lato del volto che l'uomo non può guardare facendo spallucce come può. "Probabilmente nei tuoi sogni, tesoro.". Colpito, perché lui si ritrova ad annuire. "Non sai quanto sia vero: continuo a chiedermelo ogni volta che ti passo a trovare, anche perché di te non so praticamente niente."
    "Come tutti quanti." gli risponde lei, alzandosi dal letto per cercare su una sedia vicina - sedia che somiglia molto ad una poltrona - una bella vestaglia nera che usa per avvolgersi e sedersi di fronte ad uno specchio. "E poi non lo vorresti sapere." "Oh andiamo, non può essere così brutto." "E' scaduto il tempo, lo sai."
    Un occhiolino verso l'uomo che è costretto a sospirare sconfitto, recuperando dei vestiti.
    "Fai buon viaggio, so che devi andare lontano." "Ti preoccupi che non possa più passare a trovarti?"
    "Certo, altrimenti chi avrei che mi chiede ogni volta dove sono stata?" "Touché, non funziona mai." "Quando esci avverti Polly per favore che io non ricevo più nessuno per oggi." "Sarà fatto. Buona giornata..."
    L'uomo si avvicina e si permette di darle un bacio sulla guancia, gesto che lei prende con piacere prima di concedergli un sorriso abbastanza sincero: La Font è sempre stato un uomo galante e gentile da quando l'ha conosciuto che si è sempre seriamente interessato a lei, non può negare qualche volta di averci pensato. "...Eas.".
    Quante volte le avrà chiesto dov'è stata fino ad ora?

    Già, dove sono stata.
    Me lo domandano in tanti, a volte me lo domando pure io e la risposta è semplice: in quella città che adesso chiamano Nimthor e che dieci anni fa aveva un altro nome. Facevo parte di uno dei clan più famosi, rispettati e potenti di tutta la città che adesso non esiste più: uno di quei clan storici i cui membri erano fin troppo legati alla tradizione, all'aspetto ed ai costumi. Chissà che disgrazia quando hanno visto che non ero proprio la bambina che credevano fossi, quando hanno visto che a me delle loro tradizioni interessava poco ed ero più propensa al mio divertimento personale ed all'avere una vita normale rispetto che a diventare "una di loro".
    Quanto li ho fatti ammattire, avreste dovuto vedere la faccia che hanno fatto i miei genitori ed i miei compagni di clan quando hanno sentito in giro che avevo familiarizzato con un bambino del clan rivale...che poi non erano proprio rivali, diciamo che i miei si credevano un po' più superiori rispetto a loro quando la storia insegna che noi derivavamo da loro. Tra i nostri due clan non correva buon sangue ma così come a me non interessava, così non era nemmeno per lui: ci siamo incontrati praticamente per caso al di fuori dell'accademia che frequentavamo, i nostri genitori ci stavano mettendo un po' troppo ad arrivare ed abbiamo parlato un po'.
    Non mi pentirò mai di quella scelta perché lui è stata l'unica persona che posso dire negli anni si sia mai interessata a me: nemmeno i miei genitori, presi com'erano dal cercare di far rispettare il nome del clan. Preferivano voltare il capo di fronte ai miei gesti e credo sia per quello che tutt'ora se guardo alla tradizione, al rispetto ed all'onore che millantavano lo faccio quasi ridendo: un branco di puttanate. Passavo davvero tanto tempo con lui, troppo ed avevano iniziato a temere che sarebbe successo l'irreparabile dal loro punto di vista: ci avevano preso bene perché ci cascai con tutte le scarpe trattenendomi solo perché sentivo che l'avrei rallentato. Qualunque cosa facessi, lui sapeva farla meglio: era più veloce, più forte, più efficiente di me sotto tutti i punti di vista ma adoravo quando mi chiamava per nome.
    Quando è diventato un traditore della città, uno dei peggiori, mi sono sentita crollare il mondo addosso e senza capire perché mi trovai praticamente da sola gettandomi in una strada inaccettabile per il clan, come se cercassi conforto in qualsiasi cosa ed in qualsiasi persona che mi capitasse a tiro senza smettere però di desiderare di essere una combattente capace di poter fare l'impossibile, per poterlo riportare a casa credendo fino quasi all'ultimo che ci sarebbe stata speranza. Me ne accorsi tardi, quando ormai avevo deciso di cercarlo anche se probabilmente in cuor mio l'avevo sempre saputo che non sarebbe mai e poi mai tornato a casa---o accanto a me.
    Quando lo ritrovai, dieci anni fa, fu tutto esattamente l'opposto di come mi aspettavo: credevo che avrebbe fatto di tutto per allontanarmi invece le sue parole hanno avuto l'effetto contrario. Stupida che sono stata, se mi fossi fatta coraggio forse non avrei questa brutta cicatrice che ho sullo stomaco, cicatrice che mi ha fatto proprio lui quasi uccidendomi.
    Per fortuna che avevo spruzzato un po' del mio profumo addosso al capovillaggio che mi aveva presa in simpatia, chissà che fine ha fatto.
    Ho sempre sostenuto che il trucco per far presa su un uomo fosse un po' di profumo e qualche parola detta al momento giusto e per ora mi è quasi sempre andata bene, se non fossi stata di un certo tono anche con lui non sarei mai viva: è apparso sul suo cavallo bianco e mi ha portata in salvo dimostrandosi una persona migliore di quello che credessi.
    Quando mi sono svegliata e ci ho parlato scoprii un paio di cose: la prima fu che ero debole e come tale avevo provato paura, una gran paura nei confronti di un uomo che solo guardandomi mi aveva fatta sentire inferiore ed alla strenue di una mosca di fronte ad un uragano. La seconda fu che avevo cercato conforto in tante persone ma che nessuna era mai contata qualcosa. La terza che la mia famiglia sarebbe stata più contenta se fossi morta perché si sarebbero levati una piantagrane.
    La quarta fu che stavo perdendo la testa per il capovillaggio: capitemi, una ragazzina adolescente o poco più che viene salvata in punto di morte da una persona che poi le cambia pure i fiori in ospedale.
    Come potevo evitare l'inevitabile? Peccato che a quanto pare la cosa fosse non ricambiata.
    Quando tornai a casa, come se non fosse bastato esser quasi morta, scoprii che mio fratello mi avrebbe piantato un coltello in mezzo alla schiena senza problemi perché per seguire il mio incarico avevo dovuto mollare la squadra della sua compagna ed a quanto pare a causa di un'inferiorità numerica per lei era finita male. Mi dispiacque ma non capii come potesse non esser rassicurato dal fatto che io stessi bene---poi mi vennero in mente le parole del capo: nessuno oltre lui era passato nella mia stanza. Perché dovevo rimaner male per delle persone del genere? Mi immersi nella mia indifferenza ed in men che non si dica tornai la Eas che avevano imparato a disprezzare comportandomi in qualsiasi modo ma di certo non da una degna di portare il cognome che avevo. Immaginatevi però la sorpresa nello scoprire che proprio mio fratello, giunto al limite di sopportazione, aveva ingaggiato degli assassini per farmi fuori di nascosto, cosa che ovviamente si rivelò essere un tentativo andato a vuoto.
    A quel punto per me la situazione fu chiara e cristallina: lo confrontai e lo uccisi dopo aver sentito che pur di vedermi morta sarebbe stato disposto a pagare qualsiasi cifra e che era il suo sogno più grande.
    Così facendo spaccai il clan in due: chi sosteneva che avessi esagerato e dovessi porre la questione al gran consiglio, chi invece sosteneva che la mia fosse una soluzione inevitabile ma non mi sorprese sapere che mio padre e mia madre stessero nella prima fazione. La situazione stava diventando insostenibile e considerando il fatto che l'Impero stesse arrivando drizzai il naso, fiutai un'aria sgradevole e decisi di andarmene prima che perdessimo e partisse una sorta di caccia alle streghe che mi avrebbe di sicuro impedito di essere fortunata al punto da evitare la morte di nuovo, per la terza volta. Appurato che nessuno del clan mi avrebbe seguito - e credetemi, ci ho provato a chiedere che mi seguissero perché nonostante tutto era sempre sangue del mio sangue -, mi presi in anticipo la mia parte cospicua di eredità e me ne andai dal continente per evitare il peggio con la consapevolezza che nessuno mi avrebbe cercato.
    Avevo lasciato una lettera per il capo sulla mia scrivania, spero almeno che quelli del mio clan gliel'abbiano fatta avere ma non sarebbe una sorpresa sapere che venne bruciata all'istante.
    Il mio girovagare durò un mese, il tempo sufficiente per allontanarmi il più possibile dal continente e trovarmi in una cittadina tranquilla: non troppo grande e non troppo piccola. Non potevo combattere perché mi sarei scoperta, dovevo adattarmi in un altro modo trovandomi costretta a fare una cosa terribile ed avvilente: cosa mi rimaneva se toglievo le mie capacità di combattimento? Niente.
    O meglio una cosa l'avevo: me, il mio corpo. Ma non pensate che io sia una puttana qualsiasi, mi offenderei.
    Mi bastò prendere uno dei miei vestiti migliori, infilarmi ad un ricevimento di alta società, fare gli occhi dolci alle giuste persone ed ecco che mi ero assicurata una vita tranquilla con dei finanziamenti per la mia attività che mise d'accordo un po' tutti. Quando finanzi ed apri una...casa chiusa, chiamiamola così,
    saranno tutti indignati ma state tranquilli che nel cuore della notte li troverai tutti uno ad uno pronti a pagare un sacco di soldi per non farsi scoprire.
    E credetemi quando vi dico che nonostante tutto questi dieci anni sono stati meravigliosi, pieni di regali, rispetto e soprattutto tranquillità: lontani dal conflitto. Avevo paura anche solo a domandare cosa succedesse perché temevo che una domanda mi avrebbe potuto svelare al mondo, dunque sono sempre stata restia anche ad usare il mio vero cognome prendendo il mio secondo nome ed usandolo come tale.
    Mi ero persino dimenticata come si combatteva tanto fossi concentrata su altro ma allora perché tornare in quel continente che mi aveva solo fatto soffrire? Per la ragione più futile del mondo:
    la curiosità. Volevo sapere cosa fosse successo alla mia famiglia, volevo sapere cosa fosse successo alla mia città e se ci fossero state notizie su quelle persone che mi ero lasciata alle spalle.
    Ma non potevo tornare senza un piano, anche perché quando iniziai ad interessarmi alle faccende del mio vecchio mondo le notizie non erano delle più rassicuranti e sentivo parlare addirittura che la mia città fosse stata letteralmente rasa al suolo, che non ci fossero altro che rovine: non avevo nemmeno intenzione di crederci e forse non ci credo nemmeno ora che me ne sono fatta una ragione. Dovevo avere un piano, dovevo avere sempre un'alternativa nel caso in cui le cose non fossero andate bene.
    Tramite qualche contatto ebbi modo di portarmi a Florentia, un posticino niente male e non proprio lontano da "casa, dove rilevai senza troppi problemi una delle case chiuse che si trovavano nella città e dopo averla trasformata in qualcosa di un po' più elegante e raffinato...beh, eccomi qua davanti allo specchio a sistemarmi i capelli dopo che il signor La Font ha pagato la sua ultima visita nel giro di questo mese.
    Ritornata nel mio mondo ma senza abilità se non quelle che mia madre mi ha donato e che io ho---sviluppato ancora indecisa su come ritrovarmi in questo mondo.
    Io, Eas, probabilmente una degli ultimi, se non l'ultima, Uchiha.

    Nota personale che aggiungo al diario dopo un po'.
    A quanto pare il tempo ha cambiato quello che la mia linea genetica è in grado di fare, ma non potrò dirlo mai con certezza perché sono l'ultimo campione e magari è sempre stata così, solo che non avevo ancora sbloccato queste abilità, magari è uno dei tantissimi rami che non ho mai avuto modo di intraprendere ma...sembra che adesso sia in grado di parlare con gli spiriti e di legarmi direttamente alle anime delle persone per fare quelle cose strane che prima facevamo tutti quanti.
    Anche se in modo diverso.
    Il fatto che poi abbia il fantasma perennemente arrabbiato di mio fratello che mi tormenta è molto fastidioso ma ho imparato a conviverci, almeno adesso mi lascia dormire. E' una storia interessante e particolare, vuoi sentirla? [Link]



    Edited by Ð. × Ace - 17/11/2018, 03:57
     
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    Edited by Silver Element - 8/1/2019, 09:54
     
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